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C.1.1.16

il Lavoro Spirituale
Il Rinnovamento dell'uomo

Incontro n° 11 del 3 giugno 2009
Conversazione di Vittorio Mazzucconi, sul tema:
Riunire il sentimento e la ragione


Indice IL LAVORO SPIRITUALE

 

Nel dibattito sono intervenuti anche Valeria Gamberoni, Patrizia Gioia, Roberto Provenzano, Alberto Fagioli, Patrizia Sophie Graja, Giulio Rentocchini.

Vittorio Mazzucconi

Buonasera e grazie di essere venuti! Devo sostituire  il Prof. Moriggi che doveva fare la conferenza di stasera ma che, in  seguito a un improvviso disturbo a un occhio per il quale è adesso in ospedale, non è potuto venire. Per ciò che mi riguarda, non vorrei infastidire chi già conosce il Seminario ripetendone le finalità, ma segnalo a chi invece non lo conosce che può farsene un'idea sul nostro sito Internet. Come si legge nel programma, il Seminario è articolato in una serie di cicli. Dopo quelli dedicati alla città, all'architettura, all'arte, questo l'abbiamo invece dedicato alla filosofia, dandogli anche un titolo piuttosto impegnativo: “Il  rinnovamento dell'uomo”. Il ciclo comprende tre incontri, di cui il primo era dedicato al passato, quindi alla storia della filosofia di cui ci ha parlato Mercoledì scorso il Prof. Sacchi,  il secondo doveva riguardare il presente e il terzo una visione per un futuro c la prospettiva di un rinnovamento che vogliamo associarvi. Quello di oggi, che capita quindi a metà del ciclo, doveva avere il titolo “Il materialismo del nostro tempo”. Non so fra l'altro quanto Moriggi sarebbe stato d'accordo su una certa accezione negativa che io do al termine materialismo, perché Moriggi è un laico, un filosofo della scienza, ma sarebbe stato comunque interessante un dialogo, anche da posizioni molto diverse. D'altra parte, in tutto questo Seminario, io ho dovuto combattere su due fronti. Propugnando un principio religioso, non in senso confessionale ma in un senso spirituale, mi sono trovato in opposizione con i laici. Quando invece è venuto da noi Del Guercio, un critico d'arte molto orientato verso l'arte sacra, ho dovuto stare un po' sulla difesa perché non ho un interesse particolare per l'arte sacra, così come la si intende e la si pratica in un tempo così poco religioso come il nostro, mentre è il sacro nel nostro cuore e forse in un'arte che sappia mettersi all'ascolto del suo messaggio profondo, che mi interessa.
L'intento è proprio, nel mondo attuale, quello di mettersi in ascolto, al fino di trovare una risposta, una via d'uscita alla crisi globale e lacerante in cui viviamo. Sono tanti i segni, in campo politico, in campo culturale e in generale in ogni altro campo, che sembrano proprio far pensare a un'esplosione, mentre è ben difficile sperare nell'evoluzione ordinata di un mondo in cui ci sono tante tensioni, tanti conflitti. Un ruolo da assumere in un'epoca così critica, simile sotto molti aspetti a quella che vide la fine dell'impero romano è quello, almeno per ciò che mi riguarda, di stare un po' in disparte rispetto al  bailamme e alla confusione che ci circondano, per occuparsi di quei valori che potrebbero diventare i valori fondanti di domani, valori di raccoglimento interiore, valori di ricerca spirituale.
Essi vanno ritrovati in ogni campo e soprattutto in noi stessi.  Se guardiamo all'arte, non pensiamo certo all'arte della Biennale, all'arte delle trovate o delle installazioni, o all'insieme di tanta arte contemporanea che ci sembra in profonda crisi. E a quale arte guardiamo? Chiamando il ciclo sull'arte del nostro Seminario “Arte come cammino interiore”, abbiamo posto l'accento sul bisogno di verità, di autenticità che deve esserci nell'animo di ogni uomo e che l'artista deve saper esprimere nelle sue opere.
Parlando di città non parliamo delle grandi città di oggi e dei loro colossali problemi sociali, economici, di inquinamento e alienazione, ma di una vera e propria “Rifondazione della città”, cioè di un intento che sappia ripensare dalla base la città, con una vera conoscenza di tutte le realtà in essa coinvolte, da unificare e orientare verso una visione.
Questo concetto di rifondazione, non lo applico poi solamente alle città ma proprio a un  rifondare noi stessi. In questo senso, il titolo di questo piccolo ciclo di riflessioni filosofiche è proprio quello di “Rinnovamento dell'uomo”.  Rinnovare l'uomo non è un discorso che verte sulla società in generale, è facile pensare di rinnovare quello che fanno gli altri, bisognerebbe rifare questo, rinnovare quest'altro, ma il vero compito per ognuno di noi è il rinnovare noi stessi. Questa non è una seduta di analisi ma bisogna pur assumere questo compito, perché i problemi non sono mai esteriori a noi ma sono dentro di noi.
Una prima cosa che uno vede guardando in se stesso è quella della dualità, che presiede ad ogni cosa: dualità fra corpo e anima, dualità fra maschile e femminile, dualità anche fra pensiero e sentimento. La scissione che si è creata fra pensiero e sentimento, fra intelletto e cuore, è stata un po' un leitmotiv in tutti questi incontri perché è un fatto che si trova proprio alla radice dello stato di disagio in cui viviamo. Io ragiono in questo modo: il corpo e l'anima sono non solo una dualità, ma la sua unificazione, anche se temporanea,  in quell'inscindibile insieme che ognuno di noi realizza in sé, per il fatto stesso di essere in questo mondo. Il rapporto fra maschile e femminile, della loro divisione e del loro ricongiungimento, è alla base della nascita della vita. Anche nell'arte, io trovo che un analogo ricongiungimento fra il pensiero e il sentimento di un artista dovrebbe dar luogo a un'opera d'arte viva e intensa, proprio come se essa nascesse. La nascita di un essere in questo mondo, in cui corpo e anima si saldano,  supera e vince l'inerte separazione di materia e spirito in quella fantastica integrazione che si chiama vita. Ma la divisione si ripropone fra noi e gli altri e si annida anzi nel più profondo di noi stessi, con la separazione fra la mente e il cuore. Tutta la vita diventa un processo di guarigione se riusciamo a sormontarne la scissione, ma come si fa? Con una decisione, con uno sforzo? Direi invece con un atto di amore, perché i nostri pensieri e i nostri sentimenti si mettano insieme, collaborino, si amino nel vero senso della parola. La parte di noi che è più razionale e quella che è invece più legata al cuore, devono ricongiungersi come si congiungono il maschile e il femminile, e ne nasce così qualcosa di nuovo e integrato, non un abbandonarsi agli impulsi emotivi o vitali e neppure un irrigidirsi in strutture concettuali, ma un essere pienamente vivi  e in armonia con noi stessi, gli altri e l'intero universo.

Una volta che ci si è messi in questo cammino, si può pensare all'arte come a qualcosa di sostanzialmente identico:  l'opera d'arte che nasce dal congiungimento di pensiero e sentimento è appunto viva come una creatura vivente.
Ciò accade nelle opere dei veri artisti e anche in certi periodi della storia, i periodi nascenti in cui questo congiungimento avviene spontaneamente. In uno dei primi incontri del Seminario, mi è accaduto di menzionare l'arte dell'antica Grecia, questo momento nascente della cultura occidentale in cui il  pensiero (è allora che è nata la filosofia) e il sentimento (quando io dico sentimento uso un po' un contenitore per dire molte cose, per esempio la natura, il cuore, ovviamente le emozioni, il mito, tutto quello che non è razionale...) avevano un'originaria forza e purezza, pronte a esprimersi in forme armoniche di ineguagliabile perfezione. Quando guardate una colonna ne vedete una sintesi perfetta: in origine c'era una semplice esigenza statica, la funzione di sostenere, si è quindi preso un  tronco d'albero, la cui natura appartiene alla terra e, per analogia, al sentimento, e lo si è alleato a un pensiero che va al di là della funzione pratica e anche della natura del tronco. Ne nasce un  cilindro di candido marmo, tornito e rastremato, che si coniuga con le raffinatissime modanature della base e del capitello. Ecco un 'opera integrata fra natura e razionalità umana, ossia fra cuore e intelletto, come io vado dicendo.
Il capitello ci porta oltre questa integrazione, questa armonia, e ne tocca l'apice, aprendo quasi un'altra dimensione. Col capitello corinzio la colonna fiorisce, è come se l'anima umana fiorisse, anzi l'unione fra anima e corpo che la colonna è,  in sé, a somiglianza del nostro essere.
Infatti, quando se ne stabilisce l'accordo, l'armonia che la colonna ci mostra, è come se si fosse  realizzata la base che permette di fare un passo ulteriore, verso un livello più alto. Come, per la colonna, è il capitello, così, in noi stessi, è la realizzazione del Sé, cioè della personalità più grande e essenziale che è dentro di noi e che chiede di svilupparsi, di liberarsi. Il capitello in cui fiorisce la colonna è d'altra parte proprio come il fiore che si libera dallo stelo della pianta e ne realizza l'intima natura, la sua ragion d'essere, il senso del comandamento che le ha dato vita.
Noi non dobbiamo solo pensare alla nostra personalità, che è un fenomeno transitorio e apparente, ma dobbiamo pensare a un essere divino nell'uomo, a cui faticosamente ci avviciniamo, via via appunto che riusciamo a guarire dalla divisione, dalla dualità, che ci ha portato nella condizione della vita fisica di questo mondo. Ciò è molto importante. Dobbiamo giungere a concepire, a realizzare in noi questa personalità superiore, che appunto gli Induisti chiamano il Sé, o che i Cristiani chiamano il Cristo, anche se non ne hanno sempre coscienza perché si fermano all'idea di un Cristo storico, unigenito figlio di Dio ecc. Ma in realtà, in ogni uomo si può dire che c'è un essere divino che deve realizzarsi, e si deve realizzare attraverso la guarigione della scissione originaria che ci ha portato a nascere. Nasciamo in quanto siamo portatori di una malattia, la vita in qualche modo è una malattia ed è la possibilità di guarire da questa malattia. Noi saremmo solamente anime se non avessimo accettato di legarci a un corpo e di cercare una sintesi in un'esperienza di vita, vita che si rivela poi precaria, che è destinata a successive lotte e delusioni, e che poi finisce come tutti noi sappiamo con la morte, Ma con la morte di che cosa? Di una nostra personalità transitoria, che poi io suppongo sarà dopo seguita da altre incarnazioni, in altri cicli di vita.
Quindi il discorso del rinnovamento dell'uomo è molto complesso. Ne abbiamo accennato con poche parole in una linea, diciamo, teorico-mistica, ma c'è inoltre un aspetto etico: in che modo noi ci dobbiamo comportare nel mondo, in armonia con questo principio, con  una morale che però si riassume nel fatto che tutto quello che ci avvicina alla riconquista di un'unità o a Dio, per chi è religioso, questo è il bene, mentre tutto quello che ci allontana e che ci porta a una vita frammentaria, materialista, ci porta a idolatrare moltissime cose nella vita, la nuova macchina, mille altri beni di consumo, il nostro stesso corpo, la nostra personalità, tutto questo è il male. Il principio fondamentale dello sviluppo interiore è il non attaccamento, cioè il non considerare questi fatti apparenti e transitori come noi in effetti li consideriamo – vera realtà – perché così facendo noi ci allontaniamo dal vero scopo della nostra vita.
Se poi dal piano etico passiamo al piano politico, il discorso essenziale è quello del rapporto fra la persona e la società, e quindi fra la libertà e la legge. In qualche modo la libertà dovrebbe essere equiparata al sentimento – il sentimento della libertà – e la ragione alla legge, che determina i limiti entro i quali si esercita la libertà, e qui il discorso è lo stesso: è quello di trovare un equilibrio, un'armonia, tali da permettere una società evoluta. Vorrei però aggiungere che un tale risultato, oltre ad essere benefico per il cittadino e per la società nel suo insieme, sarà al servizio di un bene più alto, ossia del conseguimento di quella personalità essenziale e superiore che è dentro di noi e che richiede di essere realizzata. Sarà, come dicevamo prima, la base che permette di passare al livello superiore, come il capitello rispetto alla colonna, il fiore rispetto alla pianta. Da questo punto di vista la civiltà è un'espressione di questa personalità, i monumenti, i templi sono quasi incarnazioni del Sé, come io ho sempre sentito in modo fortissimo quando sono entrato in contatto con essi nei miei progetti. Ne abbiamo parlato nell'incontro n.10, a proposito di Santa Maria del Fiore, a Firenze.

Se evochiamo la politica, io non sono un politico e neanche un filosofo, e quindi non ne posso parlare  né a un livello ideologico e impegnato - lasciando soprattutto ad altri le contese elettorali di questi giorni - né al livello delle idee che si sono spese, da Platone in poi, sulla città ideale.  Però, a dire il vero, ho anch'io in mente una città ideale,  “La città a immagine e somiglianza dell'uomo” che è un mio libro e progetto di tantissimi anni fa. Lo menziono spesso nel corso di questo Seminario, di cui è in fondo non tanto il filo conduttore, quanto il canale principale della linfa vitale che lo alimenta. Questo avviene perché appunto non è un ragionamento, un progetto costruito, ma piuttosto un processo vitale che va dal sentimento al pensiero e oltre. Non ne parlerò di nuovo come di un progetto urbanistico, che potrete trovare nella registrazione dell'Incontro n.3 ma come di un modello che esemplifica tale processo.
Non è un modello fatto a priori.....,pensate che ne vedo adesso delle virtualità che, quando ci lavoravo, non mi erano presenti. Un'opera viva, che è come il cammino interiore di cui ho parlato anche a proposito della pittura, si fa in  in presa diretta con il cuore, non in un  senso sentimentale, ma nel senso di aderire al centro, di essere tutt'uno con il centro. In questa sua centralità, essa diventa un simbolo. Inutile ricordarvi che il simbolo non è una metafora, un'allegoria, un'invenzione intellettuale ma un nucleo denso, totalizzante, che rivela poi innumerevoli significati, tutti facenti parte di un insieme vivente e quindi in continuo sviluppo. Esso anzi, come ci dice il significato stesso della parola symbolon, è la metà di un tutto, a cui tende in un processo che dalla dualità va all'unità, ed è appunto in questo processo che appaiono e prendono corpo i molteplici significati di cui parlo.
Ora, a me sembra che quando ho scritto questo libro quarant'anni fa, non sapevo appunto tutte le cose che mi sono apparse dopo, o forse oggi ho dimenticato che le sapevo. Fra queste cose, mi è evidente oggi il fatto che questo progetto esprime appunto il rapporto fra pensiero e sentimento. In che senso parlo del pensiero? Perché l'infinita molteplicità del mondo contemporaneo, della metropoli contemporanea, richiede una struttura razionale per essere compresa e gestita a tutti i livelli, sociale, tecnico, politico, ecc.  E perché evoco il sentimento, oltre tutto a proposito di una città? Perché il  sentimento...parlerò anzi di amore  – è questa la parola giusta – amore per la natura, per il passato, amore per la propria radice, e anche amore per la vita della gente, per le famiglie e le persone. Per quanto sia grande e sconfinata la metropoli, per quanto siano giganteschi i problemi del traffico, dell'inquinamento, del finanziamento delle strutture urbane ecc, noi esseri umani viviamo in un piccolo contesto, in una famiglia, viviamo in coppia, abbiamo dei bambini, dobbiamo accompagnarli all'asilo o a scuola e soprattutto educarli, ed è questo il centro della nostra vita. Tutto ciò mi pare faccia parte della sfera del sentimento, che è appunto vicina al cuore. Dall'altra parte invece c'è la sfera della ragione perché, nel mio progetto per Milano che il libro illustra, si tratta di sviluppare una metropoli dal Ticino all'Adda, dieci volte più grande della città attuale, con una rete di autostrade urbane che hanno la funzione di una legge. Il concetto di strada è sempre stato il concetto più vicino alla legge, una strada vuol dire la decisione di un percorso, un definire un perimetro, un territorio, un delimitare le proprietà, un tutto che in abitati spontanei può somigliare alle nervature che alimentano le cellule di una foglia ma che, nella città razionale, è un ordine geometrico, astratto, generale come una legge. Immaginate quindi una rete autostradale che copra tutta la regione, con delle maglie così ampie da permettere all'interno di esse la conservazione e lo sviluppo delle cittadine che fanno parte della metropoli e che chiamerei cittadine federate. In ognuna di queste cittadine immaginate una vita famigliare, una vita dei sentimenti, un rapporto con la natura, con le città vicine, cioè quel che si dice essere a misura d'uomo, cioè a misura della vita reale delle persone. Poiché però non siamo più nel caso di una piccola città in un intorno disabitato, ma siamo in un agglomerato di dieci, cento piccole città, per milioni di persone, queste realtà sociali, umane, famigliari potranno vivere e svilupparsi armonicamente solo se integrate in una grande struttura razionale.

Immaginiamo ora che questa grande struttura, una specie di grande rettangolo quadrettato, si curvi fino a formare un cerchio e che nell'interno di questo rimanga un vuoto, secondo lo schema che vi ho già mostrato nel testo dell'incontro n.3.  Cercavo poi l'altro giorno di spiegare durante la conversazione con Dario Sacchi il senso di questo vuoto: vuoto per tante ragioni, la più banale è che, se fosse pieno, se fosse un centro puntiforme, verrebbe schiacciato dalla pressione urbana, del traffico, degli interessi economici ecc.. Ma, sostanzialmente, questo vuoto nel centro della città è proprio la visualizzazione simbolica del  cuore, tanto quanto la parte esterna ad esso, come una corteccia cerebrale, è invece la visualizzazione della mente. E' un esempio quindi della dualità fondamentale fra sentimento e pensiero, che viene così ricomposta in un'unità.

Dopodiché è ugualmente possibile il passo seguente. Cioè, una volta stabilita questa armonia, è da lì che si passa come dicevo a un livello superiore. Come un uomo che, dopo aver guarito la sua scissione e realizzato in se stesso un'armonia fra cuore e intelletto, può grazie ad essa avvicinarsi  all'intuizione del  divino, ossia della vera personalità superiore, così avviene nella città una volta che abbiamo enucleato questo luogo del sentimento, questo luogo della ragione e il loro equilibrio.  E' proprio questo equilibrio che ci conduce a onorare il principio di un vuoto interiore, un principio evidentemente religioso, filosofico, zen. Cosa vuol dire vuoto? Vuol dire prima di tutto assenza di poteri economici, assenza di poteri politici, assenza di sovrastrutture ideologiche, assenza di quasi tutto quello che fa parte della vita materialistica, deviata di oggi. E invece un luogo pieno, pieno di valori spirituali, pieno della conservazione delle memorie del passato, dei monumenti, pieno di devozione per i luoghi di culto, pieno di cultura - dovrebbe anzi essere dedicato interamente alla cultura - e pieno soprattutto di giovani. Come, nelle piccole città federate nell'insieme, le famiglie hanno come scopo, come centro la nascita, lo sviluppo e l'educazione dei loro figli - così questo deve avvenire in tutta la metropoli e quindi, se c'è un posto dell'università, se c'è un luogo da dedicare all'educazione dei giovani, è proprio questo antico cuore, in cui appunto dovrebbe esserci l'università e tutte le altre strutture culturali che fanno la nostra civiltà.

Quindi, vi ho presentato questo equilibrio fra le facoltà inerenti, native della natura umana, che sono appunto la ragione da una parte e il sentimento dall'altra, la ragione e il cuore, e poi la sua esemplificazione anche nel campo sociale in cui appunto la legge e la libertà devono stare in un analogo rapporto, ed ho quindi parlato di un'idea di città come modello di questo concetto, ma al centro di questo modello, al centro di un'unione ritrovata c'è proprio il fatto dell'educazione a tutti i livelli, dei bambini nell'ambito famigliare, dei giovani nell'ambito universitario e direi, ciò che è ancora più importante, l'educazione di noi stessi, alla ricerca del nostro principio interiore. Bisogna in noi stessi ritrovare il bambino, non in un senso psicanalitico ma in un senso più profondo, dobbiamo cioè ritrovare in noi un momento nascente, è per questo che io penso al rinnovamento dell'uomo, penso alla rifondazione della città, penso alla nascita. E' proprio questo che dobbiamo realizzare, in un'epoca in cui quasi tutto è in frantumi, in uno stato di degradazione. Bisogna quindi in qualche modo riconquistare una pulizia, una verginità interiore, proprio per far nascere in noi quel principio divino che è la vera essenza del nostro essere uomini.

Non è che questo lo si possa fare una volta per sempre. E' un processo, un impulso che continuamente deve rinnovarsi, come quello di due persone che si amano, e ripetutamente rinnovano il loro rapporto, superando le difficoltà che potrebbero invece farne diminuire l'intensità. Quando un uomo e una donna si congiungono, è da un atto d'amore che nasce la vita, e lo stesso deve accadere in noi stessi, quando la ragione e il sentimento, che sono come il maschile e il femminile in noi, si uniscono, si amano, si integrano. La stessa cosa accade poi in ogni altro aspetto, in ogni atto della vita, dell'arte, della cultura, perfino dell'urbanistica, se esso vuol essere un atto vivo, una parola o un'opera di verità, proprio come una nascita.

Questo è il mio piccolo discorso. Se fosse venuto Moriggi ci avrebbe parlato, come gli avevamo chiesto, del materialismo del nostro tempo, ma l'avrebbe probabilmente fatto nell'ottica di una filosofia della scienza che, volente o nolente, sembra proprio il principale supporto di questo materialismo. Dicendo invece queste cose, sia pure in modo incauto perché non sono un filosofo, le sento più aderenti allo scopo del nostro incontro, che è appunto centrato sul rinnovamento dell'uomo. E' in questo senso che la totalità del seminario si chiama “Il Lavoro Spirituale”: non   una filosofia, non una speculazione, ma il normale compiere le nostre azioni, in tutti gli ambiti o discipline,  ma con quell'orientamento interiore che ci può aiutare a ritrovare la bussola in un mondo che, in modo manifesto, l'ha persa.

Dibattito

Valeria G.

Hai detto delle cose importanti, che io condivido: cercare la parte divina che è in noi, una cosa che io faccio ogni giorno, richiamando la parte divina che c’è in me, che mi aiuti a vivere la giornata e a risolvere tante cose. Chiedo costantemente di vedere il divino anche negli altri. E' un bel discorso,  io me lo sento perché ho riconosciuto dei momenti divini nella mia vita,  per cui so di certo che ognuno di noi è divino.  Cioè il nostro divino, che è lo stesso divino, è in noi, sicuramente in noi, solo che ce ne dimentichiamo.
Non sono tanto d’accordo con te quando dici  che dobbiamo ricordarci del passato: peschiamo nel passato per essere giovani oggi senza esserlo d’età, però pescando nel passato degli esempi importanti di quanto siamo stati divini, perché immagino che ciascuno di noi possa dire “quella volta sono stato eccezionale”, no? Sono questi gli esempi che ci dimostrano la nostra divinità, e da questo ognuno di noi può partire per richiamare quella parte divina che c’è in noi, proprio riportarla ogni giorno costantemente, perché poi ci si abitui ad allontanarci da quel buio nel quale comunque più o meno stiamo  navigando.

Vittorio M.

Hai detto bene. Il divino da una parte è a tanti livelli, dall’altra c’è in ogni cosa, lo situavo proprio come nostro nucleo essenziale a cui si arriva con un faticoso lavoro di ricerca.  Però lo si può, anzi lo si deve, anche sentire in ogni momento, in ogni oggetto, …

Patrizia G.

Sono tantissimi i punti che hai toccato, tutti interessanti. Parto da una cosa: stavo riflettendo su dei convegni dell’anno scorso che abbiamo fatto su Herman Hesse e Panikar, quando è arrivato Marco Manzoni che, prima di trasmettere il video di Panikar, aveva appena letto sul giornale che gli scienziati avevano stabilito le cinque specie necessarie perché il mondo potesse continuare … l’uomo non c’era! Questo direi che è interessante come spunto, perché in fondo noi, continuando il tuo discorso, dobbiamo veramente sempre riportarci ad un punto perché la nostra vita quotidiana sia vita piena. Come diceva Gesù: che la vita sia, sia vita piena.  E ritorno al pensiero di Panikar, a cui io attingo molto, perché davvero butta lì delle novità radicali: innanzitutto lui dice che la vita è un rischio, è novità radicale, in ogni momento,  per cui quello che tu dicevi, questo essere qui ed ora, è veramente “ noi siamo il tempo e noi siamo lo spazio”.  Questo lo dice anche la fisica quantistica, cioè ci ha riportato  ad un’altra dimensione dell’eternità ... L’eternità, ad una signora che chiedeva a Panikar “ma l’inferno ... io ho paura …” lui rispose “l’eternità non è un tempo molto lungo, perché non è un tempo, è qui e ora” In quel momento io sono sempiterno, cioè sono qui e sono veramente l’essere al cento per cento che io sono, ma di cui però non mi accorgo mai, perché io non  attingo mai  dal mio pozzo, come dicevi tu, ma cerco sempre di scappare da quel pozzo, da quel vuoto che invece è un grande pieno.  Per cui io credo in  quello che dici tu, ed in quello che dici tu io concordo, e non mi spavento di fronte a quello che stiamo vivendo oggi, lo accetto per quello che è, perché è frutto della nostra  co-creazione. Ad una delegazione democratica che andò da Dio per lamentarsi appunto di come andava il mondo, Dio rispose “se non vi va così com'è, basta andare da un'altra parte” ”. Tutto è nelle nostre mani, la realtà è cosmo-teantrica, dove cosmo e divino sono interconnessi, non è possibile separarci e se noi facciamo male “qua” sappiamo che sarà così anche dall’altra  parte …. Per cui, se diventiamo coscienti, e questo è un cammino dell’umano che a mio parere ognuno di noi può fare nel suo piccolo, se diventiamo coscienti veramente di questa realtà, dove tutto è compresente in quel momento, e noi partecipiamo alla creazione di quel momento, allora siamo al cento per cento!  E’ quando invece ci separiamo, quando rientriamo nella dualità, che allora andiamo a difenderci  e ad offenderci.

Roberto P.

Io in realtà faccio fatica ad inserirmi in questo contesto. Il “ divino in noi” per me è una categoria che non riesco a definire. L’uomo può raggiungere l’equilibrio tra spiritualità e materialità: per me questo equilibrio è un punto di tendenza, ma comunque irraggiungibile. E’ un movimento verso un punto che risulterà però irraggiungibile e per questo non riesco a definire il divino in me.  Allo stesso modo, sfruttando quello che avete detto, non per polemizzare ma cercando di chiarire quello che penso, il “sono eccezionale, sono stato eccezionale” , quando l’ho provato era sempre qualcosa di relativo all’umano e al mondano e mai al divino.  Allora cerco di capire, partendo anche da quello che doveva essere il tema di questa sera, il materialismo nel nostro tempo: mi sembra che a volte si confonda materialismo con consumismo, che sono due cose alquanto diverse. Per esempio, per l’autore di “Essere o avere”, Fromm, il materialismo non è da riportare a questo dualismo essere-avere, bensì c’è un materialismo economico, quello marxiano che si basa sui rapporti economici che vengono istituiti tra gli uomini, e un materialismo che deriva da un darwinismo, da un’evoluzione che è quella della scienza. Tutte e due non è che si occupino o si oppongano ad una metafisica, è che semplicemente non ne vogliono tener conto.  Diciamo che è quello che io definisco, come dire, un atteggiamento laico. Esso  non è per forza, in sé, in contrapposizione ad un atteggiamento metafisico,  perché c’è comunque un’etica, e se vogliamo anche una morale, nel laicismo: anche il laicismo persegue un’etica e una morale. Allora, io devo dire che appunto tutto questo mi lascia un po’ senza parole perché non riesco bene a comprendere che cosa intendete voi con “il divino dentro di noi”.  Se per “divino dentro di noi” devo intendere la mia incapacità di fare del male e la mia volontà razionale di non voler assolutamente fare del male, questa è una cosa. Però, non posso definirlo “divino”, posso definirlo appunto come qualcosa che prescinde dalla razionalità, qualcosa che sento dentro di me ma che non è il mio corpo, devo trovare un’altra unità di misura. Qual è quest’altra unità di misura?

Vittorio M.

Roberto, ti posso consolare perché  anche Sant'Agostino rispondeva a chi gli chiedeva cosa fosse Dio “ti posso dire solo questo, che qualunque cosa noi pensiamo di Dio non è vera, perché Dio è inconoscibile”...un’altra dimensione, come se un pesce che vive sotto l’acqua cercasse di  farsi un’idea delle stelle, del cielo. Però io dicevo che, partendo dalla meccanica della vita, che si basa sulla dualità, l'intuizione del divino nasce proprio dalla possibilità che questa dualità possa ricomporsi, dalla speranza che ciò accada, in un processo verso l'unità. Immaginiamo che la dualità sia il peccato originale dell’universo, cioè l’Uno che si è fatto due, questo può essere in qualche modo immaginato come l'atto della creazione, o quello di un precipitare nella materia, se vogliamo è l’uno che si spacca e diventa due. Poi questo due si deve ricomporre, è tutto il senso della condizione umana e forse di tutto il cosmo, ed è anche il senso dell’amore tra due persone.  Quando la frattura si ricompone, si accende la scintilla della vita e questa appunto è la porta per lo step superiore, chiamalo divino o come vuoi, è un processo, un cammino: sempre presente come potenza, sempre da raggiungere, sempre irraggiungibile perché tutto il cammino dell’uomo, se è vero che va verso Dio, va verso l’infinito.  Non puoi assolutamente situarlo in un punto e dire l’ho raggiunto, ho conseguito l’armonia  e sono perfetto. E’ tutta una dinamica …

Roberto P.

Quello che volevo dire è questo: mi ha colpito molto una frase, forse di Cartesio, che diceva che soltanto Dio può avere immesso in me l’idea dell’esistenza di Dio.  Sembra una tautologia, però io riesco ad arrivare a sentire questa cosa,  cioè che c’è dentro di me un’idea che prescinde da me, che è dentro di me in maniera innata, ma per il resto, invece, non riesco a definire questa categoria del divino in me, non ci riesco ...

Vittorio M.

Non vorrei ripetermi ancora una volta: non è una categoria, è la tua natura. Nella tua dualità, nel momento in cui la superi, si accende la vita: questa è la presenza del divino ed è anche un processo, quello della vita che poi cresce, si rigenera in un movimento infinito. Non si può situare in una categoria .

Roberto P.
Io intendo categoria in termini filosofici, una categoria filosofica, e non riesco proprio a configurare niente in questo senso.

Patrizia G.

Una  cosa che mi ha aiutato molto è stata di capire che ogni cosa è relazione, io non esisto se non esisti tu...anche Dio è quel momento in  cui riusciamo a trascendere il mentale, e quando io trascendo il mentale, io riesco a entrare in una relazione ..., non parlo di fede ... beato colui che la perde la fese!
   
Vittorio M.
Sono d'accordo. Parlavamo di scissione, di dualità, e il mentale ne è appunto un aspetto che, se non lo trascendiamo, non possiamo certo avvicinarci a Dio. L'altro giorno c'era qui un filosofo che ha fatto una relazione molto erudita, ma era solo mentale, una grande costruzione logica, razionale. D'altra parte nessun filosofo, salvo un Platone che era anche un poeta, fa attenzione all'altro lato. Questo forse lo può fare meglio un artista, un poeta, che non un filosofo.

Patrizia G.

Dato che tutto è relazione, c'è un libro bellissimo che si chiama “Contaminazioni necessarie” dove si dice che filosofia, psicanalisi e religione non possono esistere l'una senza l'altra. In che modo? La filosofia utilizza la razionalità, per dire quello che secondo il suo punto di vista è il tutto. La psicanalisi tira fuori il pathos, i sentimenti, ed ecco quindi in azione, come dicevi tu, la mente e il cuore, il razionale e l'irrazionale. Però ancora non bastano, ci vuole qualche cosa che è chiamato la religione (anche se Jung diceva che  “la religione è la saracinesca che impedisce l'esperienza divina”) perché religere è ciò che unisce la mia testa al mio cuore, me a te, te al mondo, il mondo al divino, e allora ecco che ritorniamo a questa unità, a questa non separazione, ... c'è un qualcosa di indicibile come dice Rilke

Vittorio M.

... sempre citazioni, ti tiro le orecchie. Poi, rivolgendosi a Roberto  tu ti preoccupavi di non poter configurare questo indicibile come una categoria, ma esso è l'unità, niente di meno che l'unità, cioè è l'Uno che ha generato la dualità e da questa si ritorna all'Uno, è un processo ...

Roberto P.

Il tuo è un punto di partenza da cui conseguono dei correlati che sono logici, però il punto di partenza non è dimostrabile ...

Alberto F.

Quello che vedo in questi discorsi è come un sogno, un'utopia. Io, come Roberto, non ho nessun senso del divino, però vedo persone che ce l'hanno. Se io non ce l'ho, non voglio dire con questo di essere materialista, ma che tutto nel mio cervello viene filtrato. Tu mi dici che c'è anche il cuore, il sentimento. Ma ci sono anche sentimenti come il narcisismo, l'aggressività, e altre pulsioni, per fortuna c'è un pensiero che li controlla, li razionalizza, li mette d'accordo anche se in un'unità fittizia, in una certa tenuta, non nello spirito. Ho letto in un libro che una volta l'uomo era tondo, non aveva braccia né gambe, era perfetto come una sfera, era felice. Ma Zeus si sentì sfidato da tanta felicità e non poté accettarla, lo fece quindi tagliare in due con una spada, per poi farne due sacche e ricucirle. E' da allora che queste due parti si cercano disperatamente senza mai ritrovarsi. La cosa interessante è che questa ricerca, che è una ricerca di amore, non nasce dal sentimento ma dalla spada, da una lacerazione, E' una divisione, una dualità che bisogna accettare, non so se il mio pensiero potrà mai essere così forte da farmi ritrovare l'equilibrio, l'unità...

Vittorio M

L'immagine è bellissima, questo taglio di spada mi fa pensare anche alla spada dell'Arcangelo che scacciò Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre. Immagini che evocano la drammatica divisione che è alla base della condizione umana, ma è da qui che nasce il movimento che tende invece all'unità, che cerca di recuperarla, in tutte le forme, fra cui l'amore fra uomo e donna. Ma io penso anche a un amore da ritrovare dentro di sé fra il pensiero e il sentimento, l'amore interiore. Non mi riferisco solo al fatto che abbiamo delle emozioni e che esse vanno controllate dalla ragione, ma a qualcosa di più profondo, cioè a una parte razionale che ama (essendone riamata) la parte che é invece irrazionale, spesso immersa nelle profondità dell'inconscio. Se questo processo potesse concludersi, sanando ogni divisione e raggiungendo l'unità originaria, avremmo trovato Dio. Nel frattempo ne siamo ben lontani, ma ci può essere qualche lume come un accenno, un suggerimento, una rappresentazione. Lo puoi percepire se guardi un fiore, o anche un sasso, in tutte le cose puoi vedere, anzi intuire un  barlume di questo grande disegno, che però la realtà sembra dividere in due, per non dire in infinite parti, generando nello stesso tempo l'impulso fondamentale a riunirle.  

Alberto F.

Quando tu parlavi del bisogno di rinnovarci, pensavo che il mio problema non è tanto quello di rinnovarmi quanto di tenere, trovare e mantenere un equilibrio, riuscire a farsi una ragione, senza indignarsi, senza far emergere le cose negative, stando calmi ...

Patrizia Sophie G.

Pensavo alla tua intuizione di quel vuoto che in realtà è soltanto un non-occupato … ed è in realtà questo il ritornare a noi stessi, riuscire ad individuare veramente questo vuoto che quando eravamo bambini era enorme, e poi si è rimpicciolito sempre di più perché l'abbiamo riempito con miriadi di concezioni altrui, spesso materialistiche. Il bambino è lì, con la sua capacità di intuire, di toccare il dentro e, tutto sommato, noi lo possiamo fare, ci può essere questo intuito. Se solo ci guardiamo intorno questa sera, siamo persone che sono state “bambino”, e che capiscono perfettamente cosa significhi essere bambino; ma nel senso proprio interiore, il bambino è l’aver individuato nuovamente questo meraviglioso vuoto, che è il vuoto della continua gestazione. Sono dei parti continui che noi, quasi in una co-creazione, realizziamo ogni secondo, sempre tenendo questo equilibrio tra, diciamo, l’elevazione e l’allargamento, cioè il maschile e il femminile, che tendono a incontrarsi. E’ una realizzazione continua, effettivamente chiamarla “religiosità” forse sarebbe meglio, ma è difficile dare un nome, perché veramente è indicibile. Però è anche vero che noi siamo qua proprio perché stiamo cercando quel qualche cosa che  e lo vogliamo offrire, sentendo che c’è anche nell’altro. Dobbiamo ritrovare insieme il bambino interiore, che è così libero, così vuoto, nel senso che è pieno di possibilità creatrici.

Vittorio M.
Mi sembra di cogliere in Patrizia una bella differenza con Alberto: tu parli molto del bambino, anche come momento nascente, aperto a ogni possibile creazione, quasi come qualcosa di staminale; lui, invece, si mette in una posizione di saggezza consolidata: davanti alla dualità del mondo, questo evento drammatico che ci ha diviso, si ingegna a gestirlo al meglio che si può, senza inquietarsi troppo e, se possibile, evitando il dolore.  Mi sembra vicino all'antica saggezza degli Stoici, mentre Patrizia parla di un momento poetico ed anche questa è saggezza, ma di un livello diverso e più vicino al cielo, di cui ha anche una certa vaporosità. Stando invece sulla terra come vuoi tu, Alberto, come puoi evitare il dolore?

Patrizia Sophie G.

Per me il dolore non esiste … L’altro giorno leggevo un libro particolare, che parla delle orme: noi seguiamo le orme, camminiamo sempre sulla stessa orma, facendo continuamente lo stesso percorso. Il problema non è il ripeterlo ma il fatto che non lo conosciamo. Nel momento in cui riusciamo a capire qual'è la nostra orma, cioè la nostra ripetitività nel quotidiano, nel pensiero, nell’azione, nella creazione, ecco che già noi la possiamo utilizzare come una grande forza. Capire che la nostra forza ha una determinata valenza e se noi riusciamo a cogliere questa valenza, ecco che essa ci diventa utile, la sofferenza sparisce, nel senso che diamo un significato, un senso diverso a tutto ciò che ci accade.

Nasce poi una conversazione un po' confusa, in cui vengono fuori alcuni passaggi interessanti. Il senso in cui guardare al passato o quello del  “ritrovare”, in cui Valeria dice che quello che ritroviamo non è in realtà mai lo stesso. O il vuoto, che in realtà è pienissimo, di Patrizia Sophie, o il guardarsi dentro per scoprire Dio (Valeria)

Patrizia G.

C’è poi una cosa che per me è importante: il paradiso è sempre perduto! Cioè, non è che  noi lo riconquistiamo, fuori dalla porta del paradiso ci sono due angeli con le spade di fuoco per impedirne il ritorno.  Perché è la nuova innocenza da conquistare, la vecchia l’abbiamo perduta. Per cui è una continua conquista; mi ha interessato quello che tu dicevi del vuoto, perché mi ha fatto venire in mente la differenza tra “occupazione” e “preoccupazione”: i bambini sono occupati a giocare, noi siamo preoccupati di vivere. Invece dovremmo essere occupati a vivere: allora è diverso, è lì allora che siamo un’unità, quando siamo occupati ...

Segue dibattito a più voci contemporanee, non intelligibile e non recuperabile dalla registrazione.

Vittorio M.

Scusatemi, ma mi sto pentendo di una cosa che ho detto .... Avevamo visto che è l'unione di due principi, il maschile e il femminile, che genera la vita e che essa è appunto un'unione, il superamento della dualità. Parlando dell'arte greca, ne facevo nascere l'armonia da una stessa unione, con cui l'uomo si rendeva simile agli Dei, partecipando dell'armonia insita nel divino.  Ma dove forse mi sono sbagliato è che non solo l’armonia porta a far scoccare questa scintilla, di vita e di divinità, ma che lo fa anche la disarmonia. Cioè la lotta, la collisione tra quello che il cuore vorrebbe e quello che vorrebbe la ragione, tra l’uomo e la donna e fra tutte le varie forme di dualità, porta a una sofferenza interiore, che riapre la ferita della dualità, ne fa sentire l’intensità come se il “taglio della spada” fosse accaduto proprio un momento prima e non agli albori della creazione. E questo può portare più vicino alla verità, non come punto d'arrivo di una comprensione illuminata ma come consapevolezza del soffrire la scissione, vera natura della condizione umana. 
Nell'arte, c' è il punto di vista della serenità classica, se volete, e quello dell'espressione appassionata e soggettiva, che in qualche modo esprimono questi due diversi approcci. Oltre all'esempio dell’arte greca, come momento dell’armonia che permette di giungere alle soglie del divino, c’è un'arte che tende alla stessa meta ma con ben altri mezzi. C'è un artista drammatico come Michelangelo, così lontano dall’armonia greca, ma che però vive nel marmo come nella sua carne tutta la sofferenza del patire umano, penso ai suoi Prigioni che si dibattono dolorosamente nelle catene, appunto, della condizione umana.
Se mi permettete di parlare anche della mia piccola opera, lo faccio per portare una testimonianza del dolore che si trova su questa strada, dell’oscurità, del dibattersi e del cercare di liberarsi da una chiusura, da una costrizione. Lo fa vedere anche il il quadro che è usato come logo della Fondazione, in cui l'uomo è imprigionato in una forma ferrea e oscura, mentre un angelo cerca di spezzarne le catene e di portargli un raggio di luce, un messaggio di liberazione. Non  a caso, esso porta il titolo “Il Lavoro Spirituale”, fin dal 1976.

Patrizia G.

Noi dobbiamo perderla la bussola, ogni volta, per ritrovare quella nuova. Questa è la meraviglia, lo stupore del bambino è non sapere, ecco, io veramente facendo un lavoro con l'inter-religiosità, mi sono accorta che non ho niente a cui aggrapparmi, ad alcuna certezza, io sono la mia identità, in un continuo affluire di altre cose ... il Gange si chiama Gange ma ha dentro ventotto altri fiumi che arrivano in esso, e non vuole un altro nome, si chiama sempre Gange Questa è la meraviglia, la novità radicale della vita, non aver paura di perdere niente, lasciamoci ogni volta stupire dalla novità .... poi la nostra vita è fatta di battaglie, Hermann Hesse ce l'ha fatto vedere in tutta la sua poetica, questo santo e questo peccatore che combattono continuamente, per trascendere ogni volta, mai una volta per tutte ... se guardiamo dentro di noi, ci sono dei momenti in cui abbiamo delle depressioni paurose, in cui è come se stiamo trascendendo quel momento, quel passo, e quando con fatica, ognuno con i suoi tempi, riusciamo a fare quel passo, sentiamo che il sole è riapparso nel cielo. Quello è un trascendere ogni volta...io lo chiamo un giro di spirale, alzandoci sempre di più, e veramente, se ci ascoltiamo profondamente, come Vittorio ci aiuta sempre a fare, sentiamo quando stiamo combattendo con noi stessi, perché il vero nemico è dentro noi stessi.

Roberto P.

Quanto a me, non sono né ateo né materialista. La mia posizione è di questo tipo, io no so perché siamo su questa terra, perché viviamo ecc., so che un significato tutto questo deve averlo,  per cui ci sono delle cose che io sento, però Dio è un mistero che rimarrà sempre inconoscibile, pertanto nella mia vita personale che cosa faccio? Diciamo che lo accantono questo problema della trascendenza, perché ogni volta che ci penso trovo che sia irrisolvibile. L'ultima cosa che so è che certamente il senso di questa vita e delle sue manifestazioni non può essere la filosofia del pesce grosso che mangia il pesce piccolo, non riesco a concepire questo come significato della vita....chi mi ha instillato questo senso di ciò che non va o può andare dev'essere qualcosa che è dentro di me, ma poi ... l'uomo è relazione, se io ho davanti questa sedia e non so relazionarmi con essa, non esisto né io né la sedia. Sono felice di essere nato in un'epoca in cui si capisce il senso ermeneutico delle cose, per cui esse esistono solo da un punto di vista, mentre, se cambi il punto di vista, le cose cambiano.

Giulio R.

Posso fare una piccola provocazione. Abbiamo parlato prevalentemente di aspetti spirituali. E del materialismo?

Vittorio M.

Il materialismo doveva proprio essere l'argomento di stasera ma poi, come sapete, abbiamo dovuto cambiare programma. D'altra parte il Seminario è dedicato al “Lavoro Spirituale”e, anche se avevamo accettato di buon grado un  avvocato del diavolo, non possiamo cambiare titolo, neanche per far piacere a un caro amico. Che cos'è poi il Lavoro Spirituale? Non vorrei ripetermi ma, a chi me l'ha chiesto, io ho risposto in modo molto semplice che esso è proprio il lavoro materiale. Ora, il lavoro può esser fatto in tanti modi, con diversi scopi: un conto è se è un lavoro fatto banalmente solo per arricchirsi, per la propria soddisfazione, per ingigantire il proprio ego o per altri scopi, e un altro se è invece un lavoro che, attraverso l'onestà nel fare, l'impegno nell'opera, nel sociale, e in tante altre forme, è al servizio di ciò a cui l'uomo crede con tutta l'anima. Con tale lavoro, egli reca  un contributo non solo alla società ma alla propria crescita interiore, compiendo un servizio e, oso dire, un “sacrificio”divino. Parlando di divino come della meta, è tuttavia evidente che noi siamo sulla terra, immersi nei nostri problemi,  ma c'è un sole che ci illumina. C'è quindi una dimensione superiore a cui riferirci costantemente come all'origine di tutto, poi ci muoviamo sulla terra e dobbiamo agire in essa con la più grande attenzione, partecipazione e  intensità. E' qui che si fanno le cose, è qui che si realizza un pezzettino di spirito, non nelle alte sfere, è proprio qui. Non so se voi conoscete Aurobindo...per una volta faccio anch'io una citazione. Avevo prestato questo libro a Giorgio che me l'ha restituito oggi e, aprendolo a caso ... è appunto di questo filosofo,  indiano anche se di formazione in gran parte occidentale, un pensatore, un mistico veramente straordinario. Così leggo alcune sue parole: “Ogni azione (riferendosi alla Bhagavad Gita, il famoso libro sacro dell'India,) deve essere compiuta con coscienza, sempre più rivolta verso il divino. Le nostre opere siano un'offerta sacrificale al divino. Infine, la sottomissione all'Uno di tutto  il nostro essere, del pensiero, della volontà, del cuore, dei sensi, nella vita e nel corpo, farà dell'amore il vero servizio al divino, il solo e unico fine”.
Non so se viene percepito il senso di queste parole che sto leggendo, ma è proprio la verità. Vedi che si parla proprio delle azioni che facciamo con i sensi, con il cuore, con le mani, ma che dobbiamo però concepire come un'offerta sacrificale, non nel senso di qualcosa di fatto con sofferenza ma nel senso della sacralità di ciò che facciamo, quindi non solo un'azione diretta a uno scopo materiale, come sarebbe dire: ho fame e vado a mangiare, devo lavorare per guadagnare i soldi per comprarmi da mangiare ecc. Viviamo in un piccolo pianeta, in un cosmo che ha un suo meraviglioso ordine e, penso, un suo meraviglioso significato, e partecipiamo a questo nella nostra piccola vita con le nostre azioni. E' il divino. Valeria ci diceva di vedere Dio in tutte le cose, in noi e al di fuori di noi, in tutto. Questo è il senso in cui vorrei indirizzare questo Seminario, ed è per questo che esso si chiama Il Lavoro Spirituale.

La serata si chiude così, anche se segue una conversazione un po' disordinata in cui si accenna invece al cattivo uso della religione e ad altre questioni contingenti, che non rientrano però nello spirito dell'incontro.


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