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C.1.3.10

Sentimento e ragione
La libertā e la legge
in dialogo con Vittorio Mazzucconi
e i suoi ospiti


Indice SENTIMENTO E RAGIONE

 

Incontro n° 6 del 12 maggio 2010

Nel dibattito sono intervenuti anche: Alberto d'Adda, Carla Sanguinetti, Federico Ferraris, Gerardo Palmieri, Silvia Guerriero, Pat Sophie Graja, Ettore Lariani.

Vittorio Mazzucconi

Continuiamo nella difficile impresa di questo Seminario, il cui tema "Sentimento e Ragione" investe tanti piani. Occorre ricordare che il significato che attribuiamo alla parola "sentimento" è diverso e più ampio di quello abituale. Volendolo definire per esclusione, diciamo che è tutto quello che non è razionale, per esempio la natura - associarla al sentimento può sembrare un concetto un po' strano - e poi l'inconscio, l'ignoranza stessa, l'oscurità, la morte, la femminilità, la maternità ecc. Se chiamiamo tutto questo "sentimento", la ragione appare un'altra cosa: è la mente, la geometria, la luce.

Un' altro elemento che è alla base della nostra attribuzione di significati è l'archetipo dell'albero di cui tante volte abbiamo parlato. Abbiamo paragonato la sua ramatura alla ragione in cui il tronco si divide, mentre abbiamo invece associato la sua radice al sentimento. Fra i vari piani in cui abbiamo studiato il rapporto fra il sentimento e la ragione - esso è stato studiato anche nell'arte e nella storia - abbiamo parlato molto in uno degli ultimi incontri del femminile e del maschile, stabilendo un'equivalenza: femminile = sentimento, maschile = ragione. Si tratta evidentemente di un'equiparazione schematica, di un modo per mettere dei paletti per poter cominciare a pensare, ma diciamo che non è qualcosa di molto lontano dalla verità, anche se non bisogna fermarsi a dei casi particolari. Ci sono infatti donne estremamente razionali e uomini molto portati al sentimento; anzi, gli uomini sono in generale più sentimentali delle donne.

Dopo il maschile e il femminile abbiamo poi parlato della nascita del figlio. Il figlio, come è naturale, è il frutto del rapporto di coppia, ma l'abbiamo visto come figlio in tanti sensi, dicendo per esempio che il figlio dell'albero nasce dal suo frutto, il figlio nell'arte nasce dall'unione del sentimento e della ragione in un'opera d'arte vivente, e che il figlio della stessa unione nella vita dell'anima è la conoscenza. Tutti i processi umani consistono nell'unione di due poli opposti, chiamiamoli sentimento e ragione, ma potete chiamarli anche femminile e maschile, negativo e positivo, Yin e Yang, ed è da questa unione che nasce la vita, il figlio.
La scala degli esseri è stata poi vista come un percorso universale, che comincia a livello biologico - dall'unione dei pollini nasce un fiore, un frutto - e, di gradino in gradino, ci porta infine a un piano altissimo, dove l'anima umana si congiunge allo Spirito, a Dio. Nasce allora quello che si può chiamare il "figlio di Dio". Dal livello quindi terreno, biologico, al livello metafisico: questo è il cammino che abbiamo seguito negli incontri precedenti.

Questa volta ci avventuriamo nel rapporto fra libertà e legge. Mi tremano un po' le gambe perché la mia preparazione è quella di un artista, di un architetto o, più in generale, di un uomo che ama meditare, ma non di un filosofo di professione e tanto meno di un giurista. Se c'è un campo in cui i filosofi si sono accapigliati per millenni, è proprio quello della definizione della libertà e della legge su cui ci accingiamo a discutere in modo molto incauto. Portandolo avanti insieme, troveremo però forse qualcosa di vicino a quel senso comune e nativo su cui si basano tutto sommato anche le più grandi teorie, se beninteso non se ne allontanano, come molto spesso accade.

Partirei da una metafora, che è poi la stessa, mi pare, con cui ho terminato l'ultimo incontro, cioè la metafora del solco e delle pianticelle che crescono in esso. Ripeto che non affronto il problema della liberà e della legge da un punto di vista teoretico, filosofico, ma vi invito solo a considerare questa immagine: si tratta del solco, che è evidentemente un'opera della ragione, mentre fra i solchi agisce la natura, crescono le piante che sono state selezionate per la loro utilità.
Questa mi sembra una giusta chiave per comprendere il rapporto di cui parliamo. Con essa, associamo queste piante al sentimento, così come abbiamo associato il solco alla ragione. Qui si può subito intuire un'ulteriore associazione, fra il sentimento-natura e la libertà, come pure fra la ragione-solco e la legge.

Il discorso sulla libertà è stato invece sempre posto in modo teorico: come è possibile che l'uomo sia libero quando in realtà è dominato dal fato, come pensavano gli antichi, o comunque da una volontà divina e imperscrutabile, o anche, in modo più modesto, dalle circostanze della vita, e dalla costituzione del nostro corpo? Se guardiamo bene nessun nostro atto è libero: sono tutti condizionati da qualche cosa e dalla nostra mente stessa, che guarda se stessa;. il soggetto guarda l'oggetto...
Si capisce che non si è mai arrivati ad una verità; non ci si potrà mai arrivare, è evidente, però già il fatto di associare la libertà non alla ragione e alla sua divisione ma al sentimento, alla natura, è qualcosa che può essere interessante. Se guardiamo infatti alla natura, assumiamo che essa sia sinonimo di libertà - mi direte che ci sono delle costrizioni inerenti alla lotta fra le specie, all'evoluzione, alla costituzione fisica, e che è solamente attraverso le costrizioni che gli esseri prendono forma - però c'è nella natura un principio di vitalità sorgiva, più forte di ogni condizionamento. Ogni pianta fa questo bellissimo lavoro di collegare la terra al cielo, che a mio avviso è l'essenza della vita e anche l'essenza della verità. Possiamo chiamare questa essenza "libertà", pur sapendo che essa è evidentemente condizionata dalla libertà di tutte le altre creature che, una con l'altra, formano il mondo, formano la configurazione del mondo. Se si pensa invece alla ragione, si vede che essa tenta dapprima di interpretare ma subito dopo di sovrapporre a questa naturale libertà una proiezione di tipo astratto, razionale. Questa proiezione fino a un certo punto è molto utile. come accade appunto del solco che permette di organizzare una piantagione perché, altrimenti, saremmo in una selva in cui crescerebbe ogni tipo di pianta, dandosi ombra una all'altra.

Un altro e bellissimo passo è quando, dall'idea di solco, si passa all'idea di città. In antico, la città veniva proprio fondata tracciando dei solchi. Il sacerdote determinava con essi gli assi principali e il perimetro delle mura, e quindi l'idea del fondatore di città e quella dell'agricoltore erano in fondo la stessa cosa. Anche nelle città di oggi si tracciano delle linee simili agli antichi solchi, che poi diventano le strade, e soprattutto delle regole, delle leggi, entro le quali si può svolgere la vita della gente, che può essere assimilabile a quella delle piante. Ognuno esplica le sue potenzialità, ma può farlo solo nell'ambito fissato dalla ragione. Fin qui la ragione ha una funzione fondamentale. Quando poi la ragione e il sentimenti si uniscono, io trovo che questo sia proprio il momento aureo dell'unione, che è poi lo stesso che tante volte abbiamo visto in altre forme, per esempio nell'unione dell'amore fra un uomo e una donna, che è ugualmente un momento aureo, felice; nell'unione nel tronco dell'albero fra ciò che viene dalla terra e ciò che viene dal cielo, la luce; nei momenti aurei della civiltà; nell'età adulta. In tantissime forme quello che viene dal basso, che chiamiamo sentimento, e quello che viene dall'alto e che chiamiamo ragione, si equilibrano e danno luogo al meglio dell'esistenza umana, sia sul piano personale che sul piano sociale. Sul piano personale perché questa integrazione di sentimento e ragione è proprio l'abc del conseguimento di una personalità equilibrata, che equivale poi all'integrazione fra maschile e femminile. Quanto a quest'ultima, la vediamo non solo nel rapporto di coppia ma in noi: questa integrazione è proprio fondamentale in noi stessi.
Sul piano sociale, se parliamo della città, è soprattutto la polis, la città classica, che ci mostra il valore di questo tracciamento dei solchi, come di un atto fondamentale di civiltà, una civiltà che aveva origini recenti nell'organizzazione dell'agricoltura e delle prime forme di vita associata, per giungere poi al momento aureo, in cui la legge è vicina, come si direbbe oggi, al cittadino; è vicina alla parte viva, naturale di noi, alla nostra
vitalità, ai nostri sentimenti. Se si va oltre, la ragione dà luogo a una divisione. L'abbiamo visto tante volte: il tronco dell'albero si biforca e poi si divide ancora fino a un'estrema ramificazione, lo stesso accade per la ragione e lo stesso accade per le leggi.

Questo è evidentissimo. Noi viviamo oggi in uno stato di confusione, di estrema ramificazione, che poi io metto in rapporto con la ramificazione operata dal linguaggio. Un pensiero vero, semplice, si esprime in una parola, uno sguardo, una stretta di mano. Se a questo si aggiunge il ragionamento, articolato nel linguaggio, ne nascono certo idee più approfondite ma anche mille sottigliezze, scappatoie, complicazioni, in fondo alle quali non si capisce più niente, si entra nel regno della confusione. Confusione vuol dire anche debilitazione, come se la linfa salita dal tronco dell'albero, che viene distribuita in tutti i rami e rametti, in tutte le foglie, non potesse a un certo momento andare oltre: non ci arriva più e l'albero è condannato a deperire. Non c'è più un rapporto utile fra la potenza del sentimento, della linfa e la capacità fisica di distribuirla e di metterla in rapporto con l'altra potenza, quella della luce. Quindi, al momento della ragione e del sentimento equilibrati, succede quello della ragione che opera una divisione, che poi si accentua nel linguaggio. Il linguaggio è sinonimo di torre di Babele, porta alla confusione, e la confusione porta all'impotenza, a un declino della civiltà. Ciò può essere riscontrato in ogni campo, dall'arte al rapporto di coppia, alla storia. Abbiamo impiegato diversi incontri per vedere un po' più da vicino queste situazioni, che preludono a una nuova barbarie, cioè al ritorno in uno stato di natura. Quando il sentimento si va corrompendo, non c'è più certezza della legge, non c'è più chiarezza, diventa necessario il ritorno a uno stato di barbarie, a cui non attribuisco però un senso negativo, ma piuttosto quello di una condizione di base, di una oscurità - come lo è la notte prima che uno si svegli - e da cui, analogamente, si può sperare che prenda inizio un nuovo ciclo di civiltà.

Moltissime volte abbiamo parlato della ciclicità di tutti questi fenomeni, non solo degli aspetti che vediamo adesso ma di ogni altro: abbiamo menzionato il femminile e il maschile, ma tutto, il giorno e la notte, le stagioni, la vita umana, la storia ecc. risponde allo stesso principio. E' stato poi detto che questa ciclicità non è fine a se stessa ma si enuclea come una spirale, conosce cioè un'evoluzione, non è una ripetizione meccanica. Ma, soprattutto, io ho sempre portato avanti la speranza, o la fede, l'intuizione, la consolazione - possiamo usare diverse parole per dirlo - che sia possibile uscire dal ciclo. Questo lo si vede non tanto a livello sociale, ma a livello individuale, quello raggiunto da personalità straordinarie che ci hanno illuminato, mostrandoci che, facendo un passo oltre, si può aprire la possibilità di uscire da questo ciclo. Mentre ogni ciclo comincia con l'oscurità e finisce con l'oscurità, comincia con la morte da cui emerge una nascita e finisce con la morte - è tutto così, in ogni cosa - se si va invece oltre, se si passa a un'altra scala....E' quella dell'intuizione, di un'ispirazione che conduce alla vera conoscenza dell'anima, che conduce all'illuminazione, alla realizzazione interiore. Si traccia allora una strada che porta su un altro piano, chiamiamolo piano metafisico, piano di una speranza, che si apre dapprima a degli uomini eccezionali ma che lo fa in seguito per tutta l'umanità, via via che l'esempio dei primi iniziatori, dei primi profeti è seguito da molti altri. C'è quindi la speranza che un sempre maggior numero di persone giunga appunto a un livello superiore a quello di una ciclicità meccanica, per arrivare invece a un'apertura spirituale.

Se, alla luce di queste considerazioni, ci riportiamo al problema della libertà e della legge, come possiamo vederlo? Invece di guardare alle leggi, come sono adesso - dei modi di codificare i rapporti fra interessi contrastanti, di regolarli, di mediare stabilendo delle regole - e sapendo quanto esse possono essere deviate e quanti sono i danni che creano, oltre ai benefici innegabili, non possiamo fare um passo oltre? Non si può sognare una legge illuminata, che rifletta una sapienza, non solo una cultura giuridica ma una vera e spirituale sapienza? Possiamo sperarla e collocarla in un futuro lontano ma possiamo soprattutto rintracciarla, fin da adesso e anzi da sempre, nelle parole e nelle opere di innumerevoli uomini che ci hanno preceduto, grandi profeti, pensatori, artisti, e in fondo anche nel cuore di ognuno di noi. Se guardiamo nel nostro animo senza i paraocchi di una struttura confusionale come quella di un linguaggio diventato fine a se stesso, abbiamo una fonte interiore di verità, la stessa a cui stiamo cercando in questo momento di attingere. Quindi la speranza di una legge illuminata non è nella costituzione di commissioni di esperti, di giuristi eminenti, ma è proprio nell'intento di ognuno di noi di ristabilire in sé un giusto rapporto fra sentimento e ragione, un rapporto che, io penso, è assolutamente deviato nella maggior parte dei casi. E' anche il rapporto con la propria ombra, che bisogna portare alla luce. Questo non è un seminario di psicologia, e non possiamo certo addentrarci in un argomento così complesso ma si può solo individuarne il filo conduttore. E' essenzialmente quello di avere pulizia interiore, purezza interiore: è da questa, penso, che potrà nascere qualche cosa di vero, sia a livello della limitata cultura dell'attuale condizione dell'umanità, sia a livelli più alti, a tutti i livelli della storia e della conoscenza.
C'è una conoscenza, una verità universale che, se vi poniamo mente, esiste e che non è così distante dalla natura, anzi è proprio la natura. Mi viene in mente un Sartre - veniva citato nel nostro ultimo incontro e io personalmente non lo amo - che, se non sbaglio, diceva che la nostra naturalità è una prigione che non ci permetterà mai di trovare un contatto con il trascendente. Ma io, che credo molto all'idea della prigione - infatti abbiamo dedicato tutto un seminario all'immagine della "caverna" da cui bisogna uscire - non posso accettare che questa caverna ci impedisca per sempre di vedere il lume della verità; questo proprio lo rifiuto. E' proprio dalla caverna che noi dobbiamo uscire per andare verso la luce, e possiamo farlo con la torcia dell'amore, che è la nostra luce interiore. L'idea della prigione non esclude quella della liberazione, al contrario la genera. La condizione umana è necessariamente una condizione di limitatezza dalla quale, con grandi sforzi, nell'evoluzione di eoni di tempo, si deve uscire per andare verso un'unità, verso la luce. E quindi anche il concetto di legge, la legge che comincia a dirimere i problemi fra le persone che brancolano nella caverna , che urtano una contro l'altra, che battono la testa contro le sue pareti - più o meno la nostra situazione è questa - può evolvere verso una legge che sa che oltre la caverna c'è la luce e che quindi, nel modo più opportuno, conduca gli uomini verso un innalzamento della loro consapevolezza. Il concetto di legge parte dalla contingenza e può, potrà, potrebbe giungere fino all'assoluto. E' come il concetto del solco, che parte da un piano pratico che è quello dell'agricoltura, per poi diventare il principio direttore della fondazione delle città e, in seguito, quello più sofisticato con cui i solchi diventano i binari della tecnologia, i binari del pensiero. Non bisogna però smarrire mai il fatto che questo principio deve porsi al servizio della vita, della natura, dell'amore, e che non deve essere una griglia auto-referente, da cui nasce l'idolatria della tecnologia, del computer, dell'astrazione in ogni campo. Deve essere sempre legato alla sostanza, che è proprio quella che chiamerei libertà. Non vedrei mai la libertà come un fatto razionale e volitivo, dicendo: io ragiono, sono libero perché decido di fare questo, sono libero perché scelgo. Non mi verrebbe mai in mente di dire questo, ma molti filosofi lo hanno invece detto.

Sono libero, ma perché sono libero? Non posso razionalmente capirlo, perché la libertà è nell'essenza. La mia essenza è un'essenza spirituale, la mia essenza è la stessa del divino, ognuno di noi ha un'essenza divina, e quale attributo del divino è più grande, più vero di quello della libertà? Non nell'essere costretto da qualcos'altro, o dominato o limitato, ma è solo per sua propria volontà - anzi non volontà - direi meglio per sua propria virtù e germinazione, che il Divino si manifesta. Senza andare fino al divino, abbiamo parlato tante volte del fiore: è lo stesso concetto. E' forse per un atto di volontà che lo stelo a un certo momento diventa un fiore, ha deciso di diventare un fiore? Direi di no - uno stelo non è razionale - ma cosa lo ha spinto a fiorire, un'urgenza, una necessità? Vedrete che è invece solo la manifestazione della sua essenza. In fondo, facendo un volo, immaginando come Dio può aver creato l'universo, possiamo pensare che egli abbia solo manifestato la sua essenza. Questa essenza non è divisibile, non si può distinguere in soggetto e in oggetto per costruirci una teoria, è proprio qualcosa di assolutamente germinante che possiamo intuire in Dio come in ogni creatura. La ragione può, dall'esterno, solo osservare, capire nei limiti delle nostre possibilità, riceverne un messaggio di grazia. Se è di fronte a una pianta, può solo curarla, annaffiandola, sarchiando la terra, togliendo i parassiti, ma null'altro. Non è la ragione che può creare la vita e la sua essenza di libertà, mentre può essere più vicina alla vita, condividendone l'essenza, quella parte che io impropriamente chiamo sentimento, in cui coincidono la nostra propria essenza e quella della vita stessa.

Chi è venuto agli altri incontri sa che vi ho tartassato con una quindicina di tabelle. Io che parlo molto in difesa del sentimento, sono stato poi portato a costruire una struttura razionale per tentare di spiegarlo, ma è stato proprio come un tracciare dei solchi, per organizzare il pensiero.
In questa tabella si riassumono alcuni aspetti, come l'archetipo dell'albero, le funzioni dell'anima, la civiltà - tutte cose che avete già visto - e si aggiunge a destra una nuova colonna, che è quella della libertà e della legge. In tutte le colonne si vede che c'è un luogo centrale: è quello del tronco, del cuore, dell'unione sentimento-ragione; è il luogo della civiltà giunta alla sua pienezza, e finalmente il luogo dell'unione fra libertà e legge, di cui abbiamo visto essere espressione la polis.
Non parlo di nuovo dei diversi passaggi mostrati nella tabella ma, per concentrarci solo sulla libertà, si comincia a vedere uno stato di anarchia, che può essere chiamato anche età primitiva o natura, in cui si manifestano le prime forme di vita sociale, in assenza di leggi. E' da qui che si passa al senso della libertà che, paradossalmente, nasce quando se ne manifestano le prime limitazioni. Dalla libertà si passa infatti progressivamente alla legge finché, nella linea centrale della tabella , si vede una condizione di unione, di equilibrio fra la libertà e la legge. Rispetto a tale linea, vediamo che, al di sotto di essa, è indicata la libertà mentre, al di sopra, è indicata la legge, nello stesso modo in cui avevamo visto il rapporto fra il sentimento e la ragione, fra l'inizio della civiltà e il suo declino. C'è una simmetria in questa costituzione rispetto al centro. Mentre al di sotto di esso vediamo la legge nascente, ossia la libertà che diventa legge, al di sopra vediamo la legge che si sviluppa in modo autonomo, finendo col sovrapporsi alla realtà, con l'opprimere la realtà, che è proprio quanto accade nel mondo di oggi. La confusione che questo genera - vediamo anche questo intorno a noi - porta a uno stato di aridità, come quello di un albero spoglio, o quello della morte di una civiltà, fino a una nuova barbarie, che è necessaria per poter ritornare a uno stato di natura, recuperandone le forze primigenie.
E' invece indicata in corsivo la parte superiore della tabella che mostra come, al di là di questo ciclo, si può intraprendere un cammino che porta a un livello superiore. Dalla barbarie nascono i fermenti di una nuova cultura che poi finiscono col dare vita a una nuova civiltà e a un nuovo ciclo.


fig. 16

Se è vero che, al di fuori di tale ciclicità, esiste poi in ognuno di noi la possibilità, individualmente, di attingere a una realizzazione spirituale, si può pensare che, a livello di civiltà, si possa ugualmente pervenire a una vera conoscenza, una conoscenza dell'anima, una profonda sapienza, che possa quindi generare una legge illuminata? Questa è sempre stata la visione, lo scopo della filosofia, da Platone in poi. Che poi un filosofo l'abbia vista come primato della ragione; un altro l'abbia messa in rapporto con un astratto assoluto; un 'altro l'abbia posta sotto la benedizione di una grazia divina; o un Marx l'abbia vista come uno svolgimento storico che si realizza attraverso le lotte politiche e sociali, sembra non aver cambiato più di tanto il corso dell'evoluzione umana.
Al di là di tante forme di pensiero e di tante vicende, c'è però un'essenza che viene dal nostro cuore, come il filo della sapienza di tanti uomini illuminati nel corso della storia, che noi abbiamo anche in noi stessi, e che ci conduce a una linea evolutiva in un senso spirituale.
Questo più o meno è il mio discorso, che adesso può prendere maggior consistenza e valore con il vostro contributo. Volete dire qualcosa?

Dibattito

Alberto D..
Io non sono mai venuto prima al seminario, ma mi è piaciuta la metafora della radice e del tronco. Stavo riflettendo sul fatto che i sentimenti, se li paragoni alla radice, stanno infatti sotto e non si vedono, mentre il tronco e i rami ovviamente si vedono di più.

Vittorio M.
Estenderei la tua riflessione all'inconscio, che è alla radice dell’albero. Non solo esso è nascosto alla vista degli altri, come lo sono spesso i nostri sentimenti, ma è nascosto anche a noi stessi.
Il nostro scopo è appunto quello di portarlo alla luce ma, nel far questo, c'è modo e modo, perché, se prendi un albero, togli la terra e esponi la radice al sole, l’albero muore.
Quindi, bisogna attingere al profondo, ma anche preservarne l’oscurità e l'umidità, preservare la radice, la forza germinante del nostro essere. .Nel grembo materno c'è un bambino che non si separa dall’oscurità del grembo finché non nasce. Non solo deve essere giunta al suo termine la gestazione, ma il passaggio dall'oscurità alla luce è un momento unico e sacro, è la nascita che, con la stessa sacralità, deve essere vissuta anche nel nostro rapporto con l'inconscio. .

Come si sono formate le leggi?

Alberto D.
Entrando invece più nel merito, chiaramente l’argomento “libertà e legge” è molto interessante. Lo possiamo esaminare da un punto di vista trascendente, e magari lo facciamo dopo, piuttosto che immanente. Non sono molto d’accordo sul discorso che tu fai sull’anarchia: in realtà è vero, anch’io prima pensavo che l’uomo primitivo fosse in una situazione di anarchia, perché forse non aveva nemmeno bisogno di leggi Era in una situazione di grande libertà, finché però non appare il bisogno delle prime leggi.

Vittorio M.
E’ quanto stiamo dicendo, mostrando il processo da una natura in cui non c’è ancora l’uomo ai primi uomini della preistoria, che vivono in una situazione di anarchia, nel senso che non ci sono leggi né stati, ma che però un po’ alla volta cominciano a stabilire delle regole. Da questa condizione - nei primi uomini non c’è ancora il sentimento come noi lo viviamo oggi, c’è la superstizione, o la pura brutalità - nascono lentamente i sentimenti e la ragione. Con essi, la libertà originaria comincia ad auto-limitarsi e ad articolarsi in regole: è la legge allo stato nascente..
La libertà equivale al senso dell’Io, alla consapevolezza, alla possibilità di scegliere, che si esercita nel rapporto con gli altri, da cui cui nasce la necessità di stabilire le regole con cui esercitarlo..

Alberto D.
Sì, questo è chiaro. Però il punto è che, paradossalmente, più leggi l’uomo è andato a darsi, più viene meno la propria libertà. Qual'è poi l’obiettivo della legge? E’ quello di garantire la giustizia, ma se la giustizia non viene garantita, non possiamo più dire di essere liberi. Cioè, noi siamo liberi in quanto esiste la giustizia: se essa manca, pensiamo di essere liberi, ma non lo siamo.

Vittorio M.
Io penso che noi non siamo liberi, se non in un modo che è da svelare a noi stessi. Ne dà evidenza il discorso della "caverna", che mostra appunto tutta la limitatezza umana. La libertà va conquistata. E’ come l’amore: un’idea assoluta, che si realizza però a diversi livelli. Ricordate che abbiamo riconosciuto l'amore anche al livello più basso, quello per esempio di mangiare, con cui ci si unisce a ciò che si mangia. Anche nell'unione tra uomo e donna il bacio è proprio simile ad un morso, tendenzialmente è un voler mangiare. E così via via, in progressive forme di unione, sino all’amore di Dio, in cui si realizza l’unione con l’assoluto.
Direi che avviene lo stesso per la libertà: la prima libertà può essere quella dell’albero che spinge i suoi rami tutt'intorno e, con il movimento delle foglie, segue il soffio del vento; poi quella dell’animale che può muoversi con tutto il corpo; e quindi quella dell’uomo, che ha una libertà anche nei pensieri, per poi evolvere sempre di più finché non giungerà a conquistare la libertà vera che è quella spirituale, cioè il riconoscersi come essere divino.
Prima di questo si può parlare di libertà solo in modi più o meno limitati. I filosofi ci dicono che l’uomo è si, libero, ma lo è però solo nell’ambito della volontà di Dio, ponendosi il problema del libero arbitrio e comunque della limitatezza della nostra condizione. Ma preferirei dire che l'uomo sperimenta la libertà e la conseguente possibilità di volere a vari livelli, sempre crescenti, fino a coincidere con quella volontà di Dio da cui si riteneva dominato. E' proprio come nell'amore, in tutti gli stadi che via via percorre, dal sub-umano sino al divino.

Quando interviene la ragione, vediamo che essa sostiene la libertà ma solo fino a un certo punto, perché poi si sovrappone ad essa, dimenticando del tutto quale sia l’origine, l'essenza dell'uomo. La ragione tende così a costruirsi come ente a sé stante, ed è questa la grave deviazione che mette in pericolo il mondo. Abbiamo invece bisogno che la ragione sia sempre in un giusto rapporto col sentimento, come, nello stesso modo, la legge con la libertà. E' fondamentale di individuare il loro equilibrio, la loro unione, e non dire che uno è la strada della verità e l’altro una deviazione. La vera deviazione è se si va al di fuori di questo equilibrio.

La Legge

Carla S.
Vorrei dire una cosa. Innanzitutto, trovo molto bello questo tuo sistema che hai costruito, evidentemente attraverso tutta la tua vita, le tue esperienze, i tuoi pensieri, e che assume questa immagine splendida dell’albero cosmico, che poi è un archetipo, un’immagine che tutti abbiamo dentro, perché ci sentiamo far parte di un universo di cui capiamo molto poco, ma con le radici ci siamo dentro e con le foglie andiamo su e troviamo l'equilibrio, come pure cerchiamo un equilibrio dentro di noi. Ecco, è molto interessante, in questa parte, quello che tu dici sull'unione fra sentimento e ragione, cioè che il sentimento deve trovare una sua razionalità. La razionalità deve riunirsi col sentimento. Questo è fondamentale, anche per il discorso della legge, che è di oggi. Io recentemente ho letto due cose, proprio su questo, che ho trovato straordinarie. Una l'ho citata la volta scorsa e che è Jonas, e l'altra è un articolo di Claudio Magris, uscito giorni fa sul Corriere della Sera: qualunque cosa a cui noi possiamo aspirare come libertà cavalcante, sciolta, naturale, romantica, in realtà non è possibile.
Dicono tutti e due, sia Jonas come filosofo che Magris come pensatore, che quando riusciamo ad unire sentimento e ragione - deve essere il nostro obiettivo nella vita - la vera libertà consiste nella legge che noi diamo al nostro vivere sociale così come a noi stessi, in questo nostro cammino interiore, in questa nostra ascesi e tentativo di capire quest’universo così difficile. Nel nostro rapportarci agli altri, in fondo qual è lo strumento principe che abbiamo? Una legge che sappia unire sentimento e ragione. Certo, ci muoviamo a livello quasi utopico e nella realtà delle cose sappiamo come tutto questo sia difficile, e anche come essi siano ambiti separati, che anzi si scontrano ed opprimono l’un l’altro. La legge può essere terribilmente oppressiva, però anche l’anarchia dei sentimenti lo è.

Vittorio M.
Certo, certo. Già in un altro incontro tu avevi evocato che nella molteplicità del mondo, dove ci sono moltissime cose, anche vere, anche dal peso uguale, opinioni che possono convivere, c’è comunque un nucleo di certezza che chiami la legge, riferendoti al pensiero di Jonas.
Però qualcuno ha detto che questa è un’opinione molto biblica…

Carla S.
Sì, giustamente, perché io ho il sangue ebreo…

Vittorio M.
Ed in effetti gli ebrei hanno sempre avuto questa idea, con Mosè che si presenta con le tavole delle leggi, e anche con Gesù che diceva: "Non sono venuto per abolire la Legge, ma per attuare la Legge".
Io però sono un po’ anarchico e non metterei l’accento sulla legge se non proprio come perfetto equivalente della libertà. Ecco, li vedo proprio insieme.

Carla S.
Ma la nostra libertà è nella legge, io credo a questo paradosso.

Vittorio M.
Sì, uno può dire che la nostra libertà è muoversi nell’ambito della legge. Però la libertà è un’essenza, la legge è una sovrapposizione. Sono convinto anch’io che nel tempo si debba giungere ad una legge sempre più illuminata - anche se non crederei affatto al governo dei filosofi, o qualcosa del genere, per non parlare di quello dei politici - ma mi pare proprio che sia vero un principio di assoluta equivalenza: se cioè l’uomo scopre in sé un’essenza illuminata, vale a dire l’essenza divina, allora creerà una legge illuminata, vicina al divino..
Altrimenti, se l’uomo ha un sentimento non sviluppato, cioè una vita naturale confusa, mescolata all’ombra, se si dibatte nella caverna, le sue leggi non faranno che rinforzare questo stato.
Quindi non è che la speranza sia la legge: la speranza è conquistare la libertà vera, interiore, divina, che porterà ad una vera legge. Non è la la legge in sé che dobbiamo adorare : una legge posta sopra ogni altra cosa non è la verità, non è una volontà divina, ma rischia di essere un idolo. .
Invece di questa sottomissione parlerei di equivalenza: come il sentimento e la ragione devono essere equilibrati, così devono esserlo anche la libertà e la legge.

Nessun altro interviene?
Dicevo prima come Platone ebbe l'idea dei dialoghi (mi ha copiato...!?!). Alla parola scritta, ha preferito la comunicazione diretta, orale, con un gruppo di amici e discepoli, ascoltando e parlando in modo da mettere in relazione le persone e le idee, che è un po' quello che più in piccolo stiamo facendo. Però, col tempo, diventando vecchio e autoritario, ha messo in primo piano questo personaggio di Socrate che praticamente parlava solo lui, mentre gli altri erano ridotti a dire solo: si, si, oppure no, no. Socrate poneva delle domande: è vero che le cose stanno così ? E le risposte erano si, è vero, oppure no, non è vero. E così, se voi non parlate, andrà a finire con noi. Mi auguro invece che continui un dialogo vero.

Federico F.
Trovo che nella vita c'è una lotta continua fra diversi interessi. La legge è necessaria per questo, ma deve adattarsi continuamente alla situazione reale, non rimanere immutabile.

Vittorio M.
Ma questo accade non solo nel mondo umano ma anche nella natura. Una pianta cresce liberamente? Si, ma se c'è un'altra pianta vicina, la relazione con questa limita la sua libertà: una pianta dà ombra all'altra, c'è una lotta, una competizione, si sviluppano forme particolari di difesa. . Quanto alla lotta fra i diversi interessi, nella società degli uomini, essa non riguarda solo gli aspetti economici, ma le stesse forze costitutive della vita; la lotta è la legge della vita su tutti piani. Mentre la natura ne assicura una regolazione automatica, che si realizza nell'evoluzione, l'uomo crea una regolamentazione conscia e articolata nelle leggi, che è fondamentale per il vivere civile. Solo che essa deve essere sempre al servizio della vita perché, altrimenti, rischierebbe, come accade, di sovrapporsi ad essa e di soffocarla.

Le leggi e la giustizia

Alberto D.
Per questo volevo enfatizzare prima il concetto di giustizia, oggi abbiamo troppe leggi. Invece di darci più libertà, ci tolgono libertà in quanto sono strumentali per la libertà di qualcun altro. Nel mondo non c'è giustizia. Eppure, guarda quante leggi ci sono.....

Vittorio M.
Anche solo nel mio campo, l'architettura, non si è più liberi di progettare perché è indescrivibile il labirinto di regolamenti, che dovrebbero avere come risultato di darci una città più giusta, più bella e meglio funzionante, mentre avviene il contrario. Se pensi alle città antiche, in cui non esistevano assolutamente queste montagne di regolamenti, le città crescevano in modo organico, giusto, bello, oltre ad essere portatrici dei valori più alti di un popolo, mentre oggi sono assolutamente desolanti. Quindi, quando la legge diventa una struttura a sé, non solo non aiuta lo sviluppo della vita ma lo contrasta, lo mortifica. E' proprio un punto esatto di equilibrio che occorre trovare: un momento prima c'era l'anarchia, un momento dopo l'irrigidimento provocato dalla legge. Per questo io diffidavo di quello che diceva Carla che, già in un altro incontro, evocava la "Legge", si inchinava alla legge. Ma la legge non è un Dio, è o deve essere solo l'equivalente della libertà, della vita, del vero come, per fare un esempio, potrebbe esserlo la carta stampata rispetto all'oro di cui costituisce solo una ricevuta convenzionale. E' inutile tracciare i solchi se le piante non crescono in modo vigoroso, se non ricevono la luce del sole, il nutrimento della terra.
Se si guarda alla storia del pensiero, si è sempre ipotizzata la legge proprio come qualcosa di astratto: una volta come la legge divina; un'altra volta come un' imperativo morale - come diceva Kant - che discrimina fra bene e male; un'altra volta una grazia che ricevi, o un ordine dettato da un Dio assoluto. E' sempre stato come l'attribuire a un'autorità esterna, che sia il Padreterno, il giudice, il governante, o la ragione eletta a Dea, il diritto di ordinare la nostra vita. Questo diritto dovrebbe invece nascere dalla nostra vita interiore, dalla nostra libertà, da una vera conoscenza. Noi ci riduciamo invece ad avere margini ristrettissimi di libertà nella misura in cui le leggi ce li hanno lasciati, finché non vengono poi accuratamente eliminati uno dopo l'altro.
E' un processo che porta necessariamente alla paralisi dell'organismo sociale e che genera anche, oso dire, il bisogno di una nuova barbarie come esperienza rigeneratrice. Che poi la nuova civiltà che viene così preparata costituisca un progresso, possiamo sperarlo sulla base dell'esperienza storica che ci ha indubbiamente portato a un progresso rispetto alla civiltà antica, almeno sotto il profilo della democrazia e di tutto lo sviluppo civile che vi è associato. Il progredire dell'umanità che si opera faticosamente con la successione dei cicli storici non può comunque che essere molto limitato rispetto alla prospettiva di una civiltà e di una legge illuminata in un senso spirituale, come essa può nascere nel nostro animo e nelle parole degli uomini più saggi. Essa non sarà comunque possibile né come elargizione divina né come conquista esclusivamente razionale, ma solo se noi avremo acquistato parallelamente, simmetricamente, un'analoga forza, un'analoga libertà, che si chiama appunto "essenza". La libertà è l'essenza.

Gerardo P.
Volevo dire che non sono molto d'accordo con quello che ha detto Alberto. La giustizia è una conseguenza naturale delle leggi, se esse sono equilibrate e sagge. Le leggi sono fatte per stabilire una convivenza., una socialità. Quando l'individuo viveva nella foresta, faceva quello che voleva, mentre adesso, con delle nazioni di cinquanta o sessanta milioni di abitanti, sarebbe inconcepibile che esse non si diano delle regole di convivenza, per le quali ognuno è libero di avere e di manifestare i propri diritti, i propri interessi ma nel rispetto dei diritti degli altri: questa è la legge

Vittorio M
...ma è anche giustizia

Gerardo P.
Giustizia è un termine vago...la giustizia fa degli errori, le leggi non dovrebbero

Vittorio M.
L'applicazione delle leggi può compiere degli errori, però il concetto di dare ad ognuno il suo, di rispettare gli altri è la giustizia, no? Non vorrei avventurarmi in un campo che non è il mio, ma la giustizia è un concetto molto vicino a quello di legge, caspita, a meno che non sia una legge oppressiva, una legge ingiusta, che privilegia i malvagi e bastona i buoni, ma una legge invece che si applica a stabilire dei giusti rapporti coincide con la giustizia, o no?

Gerardo P.
Non sempre. La giustizia è un concetto più astratto di quello che è un ordinamento per la convivenza, tale da poter garantire ad ognuno i propri diritti senza ledere quelli degli altri. La giustizia è un concetto più relativo della legge; che è un fatto oggettivo. La giustizia, la sentenza per me può essere giusta, per chi ha un altro interesse non lo è . Però la legge è al di sopra degli interessi individuali

Vittorio M.
Stiamo parlando di parole o c'è qualche differenza sostanziale?
Forse io parlo della giustizia in sé mentre tu intendi la pratica giudiziaria, la sentenza?

Alberto D.
E' importante mettersi d'accordo sui termini, come io suggerirei anche per la libertà e la legge.

Vittorio M.
Il linguaggio può portare a una chiarezza come a una confusione, e non deve comunque bloccarci in definizioni a priori. Forse è meglio procedere con una certa approssimazione, come fa un artista quando, cominciando un'opera, lo fa con un abbozzo, non può stabilire prima cosa bisogna fare nel dettaglio e curare un tratto perfetto fin dall'inizio.
Adesso ci scontriamo con questa difficoltà, se la legge è sinonimo di giustizia. Vogliamo tentare un'altra strada? Immaginiamo che giustizia, non nel senso corrente del termine - cioè di cosa fanno i giudici, delle loro sentenze, o al contrario del farsi giustizia da sé ecc. - ma in un senso più alto, sia proprio il rapporto equilibrato fra la libertà e la legge, con cui si definisce ciò che è giusto. Se invece si parla di giustizia come dell'applicazione delle leggi, è una cosa alquanto distante da questo concetto, cioè è un prevalere delle leggi, spesso tutt'altro che illuminate, mentre invece sarebbe più giusto di vedere la giustizia come un'armonia fra la legge e la libertà, fra le regole e il contenuto umano a cui tutto si deve sempre riferire.

Silvia G.
Ma allora, scusa, al posto di libertà e legge io avrei scritto unione di libertà e legge = giustizia:

Vittorio M.
Proprio così

Gerardo P.
Vediamo di comprenderlo insieme. Giustizia e legge sono due termini non omogenei, perché la legge è l'emanazione di un potere che decide quali, in un determinato contesto sociale, sono le regole più idonee. La giustizia è invece un risultato che può esserci o non esserci.

Alberto D.
Che non siano omogenei sono d'accordo

Una legge di natura

Pat Sophie G.
Qui si stanno dando delle definizioni non valide. Pensiamo invece alla legge in un altro senso: legge di natura, legge che è in te, e non solo legge sociale, organizzativa. Sono legge le une e le altre. Ma ci sarà giustizia solo se riusciremo a integrarle e a comporle in un :equilibrio.

Alberto D.
Per legge di natura cosa intendi? Non stai andando sul trascendente? Quando ho fatto il primo intervento, ricordate, ho detto: che bel tema quello della libertà e della legge! Possiamo parlarne da un punto di vista trascendente o da uno immanente. Parlando solo dal punto di vista immanente ho detto che la legge deve garantire giustizia perché, se non c'è giustizia, non c'è libertà, questa è la sintesi del mio discorso. Se invece entro nel trascendente e metto di mezzo anche la legge della natura, allora faccio tutto un altro ragionamento.

Vittorio M.
La nostra linea non è divisa fra due categorie. E' un tutt'uno, dal basso all'alto e dall'alto al basso. Si dice infatti "come in basso, così è in alto". Quindi cerchiamo pure di toccare anche il trascendente, ma senza separarlo da noi. Io dico che la libertà è possibile a tutti i livelli, e così mi pare che sia anche la giustizia. Consideriamola come un momento di equilibrio, che si può realizzare a un certo livello, in cui si definisce il giusto in rapporto a un determinato contesto, mentre non lo sarà in un contesto diverso. Di livello in livello potremo giungere anche a intuire che esista una giustizia divina, oppure, restando in questo mondo, ricercheremo almeno un equilibrio fra una legge di natura e la legge umana. Tutto è comunque unito.
La legge di natura può essere molto dura, perché è dura la lotta per la sopravvivenza, ma forse tu intendevi il sentimento naturale che è in noi riguardo a ciò che è giusto?

Pat Sophie G.
Intendo lo svolgersi della natura

Gerardo P.
Cosa vuol dire lo svolgersi della natura?

Pat Sophie G.
Vuol dire che se il fiore nasce, non è perché tu l'hai spinto, ma perché........

Vittorio M.
Sai quante volte ripeto che il senso più vero del nostro essere è proprio quello di fiorire e aprirsi come un fiore, ma questo richiede un'interpretazione spirituale della legge di natura, che ha invece anche degli aspetti su tutt'altro piano.
Prendiamo però dalla natura un altro principio, quello della libertà, e diciamo che esso ne è proprio l'essenza, un'essenza comune sia alla natura che a noi stessi. Se si vuol classificarlo come immanente o trascendente, fate voi, io non vedo differenze.

Silvia G.
Ci possono essere diverse leggi: la legge di natura, la legge della propria coscienza...

Gerardo P.
Molte leggi hanno trascritto, codificato ciò che era già nella natura dell'uomo. Anche la legge religiosa "non desiderare la donna d'altri" nasce da qualcosa che è nell'istinto dell'uomo..

Vittorio M.
Su tutto questo siamo d'accordo, ma non distinguiamo troppo per favore fra legge naturale, legge religiosa, legge morale, penale, civile.....quello che dice Gerardo è sensato: c'è un impulso naturale in noi stessi, oltre ai dettami richiesti dalla convivenza, che viene codificato, dando luogo a delle giuste regole. La legge che così nasce continua però in un processo di suddivisione e elaborazione di concetti, sotto la spinta della crescente complessità della società, o anche di deviazioni e interessi particolari. Questo processo è proprio dello sviluppo della ragione. Applicato alla giustizia, finisce col creare concetti e leggi staccati dai bisogni primari che tu vedevi rispecchiati nella legge, fino a creare una crescente confusione. Riportando come sempre le cose a una prospettiva più vasta, si vede come questa confusione porta a un indebolimento, quasi una paralisi dell'organismo sociale, a cui segue il bisogno di ritrovare il vero fondamento che si era via via perduto nell'evoluzione dell'uomo. . Il discorso è sempre questo.
Sono argomenti molto vasti, ma noi non dobbiamo perdere il nostro filo conduttore. Mi ricordavo proprio oggi le parole lapidarie che Plotino pronunciò in punto di morte: "Fuggite il molteplice!" Certo è che, più il molteplice si moltiplica, si ramifica, e più si perde di vista l'unità: quello che è il punto di partenza, in modo se volete nativo, semplice, germinante, ed è anche il punto di arrivo, in modo illuminato, spirituale.

Illuminazione e utopia

Silvia G.
Il tuo punto di vista è sempre quello del modo illuminato, può essere un po' utopico ma è questa la direzione in cui dobbiamo andare

Alberto D.
Utopico se lo vedo come "illuminato", mentre è meno utopico come attributo di conoscenza...

Vittorio M.
Si, può essere utopico a livello sociale, se non vogliamo farci troppe illusioni sulla possibilità di cambiare l'umanità, ma è invece vero a livello individuale, in cui un uomo può essere illuminato, realizzato...

Alberto D.
Se per conoscenza intendiamo illuminazione, non abbiamo più bisogno di una legge che ci illumini. Nel momento in cui siamo tutti illuminati, arriviamo tutti alla conoscenza....

Vittorio M.
Non parlo di legge illuminata nel senso di immaginare un consesso di giuristi che, fra cinquantamila anni, ne stabilirà le norme, ma penso a un'evoluzione del concetto di giustizia che a poco a poco si farà strada, se gli uomini saranno illuminati o almeno un po' più saggi. Può certo sembrare un'utopia se guardiamo al mondo d'oggi, in cui siamo governati da persone spesso disoneste o ignoranti, o ambedue le cose insieme, ma si può dire che questo accada solo oggi?
La storia non è forse sempre stata una storia di sopraffazioni? I grandi re, i grandi conquistatori, gli uomini di potere in ogni tempo non erano spesso che dei sopraffatori. Non ci sarà mai nell'umanità, un giorno, un governo illuminato, che sia ispirato a sapienza, e agisca con una vera visione del bene?

Pat Sophie G.
Ci sarà solo quando accadrà quello che hai detto prima, quando cioè ogni uomo non sarà diviso in sé ma unito, e non ci sarà quindi bisogno di cercare qualche criminale per governare la sua divisione. Io smetterei però di parlare di utopia: mentre parliamo tanto di illuminazione, perché continuiamo a dire che è una utopia?

Vittorio M.
Ma certo. Per chi guarda solo la realtà, un'idea può sembrare un'utopia, una cosa fuori dal mondo, ma essa è invece la spinta che fa crescere il mondo. E' proprio come la la forza che porta lo stelo a produrre il fiore - un principio germinante - è così semplice. La vera utopia sarebbe e purtroppo è il nostro modo consueto di ragionare, di fare, di dedicarci a delle astrazioni invece che alla vita.

Gerardo P.
Io parlo di utopia nel senso che è purtroppo una pia illusione che tutti gli uomini possano raggiungere questa illuminazione, contemporaneamente.

Vittorio M.
Io, guarda, quando mi figuro l'illuminazione, immagino di essere un fiorellino giallo che si apre con tutti i suoi petali, mi viene in mente così.... E dove mi vedo? In un prato strapieno di altri fiorellini gialli. E' questo che può e deve succedere, non è un'utopia, è quanto accade quando viene il momento della fioritura. Già prima il prato era ed è pieno di semini dormienti, come lo siamo noi, e poi fioriscono ...

Pat Sophie G.
se tu hai il pensiero, se pensi all'utopia, tu hai concepito; se pensi all'illuminazione, l'illuminazione c'è perché il pensiero esiste al di là di te, tu l'hai solo tirato fuori da una incredibile possibilità, come nella fisica quantistica, l'hai raccolto e chiamato illuminazione, quindi non negarlo: c'è, c'è la possibilità ...

Gerardo P.
Un conto è che ci sia come possibilità e un altro che questa venga realizzata

Vittorio M.
Ti ricordi che abbiamo già fatto una discussione a proposito di un mio progetto rivoluzionario per Milano? Tu dicevi sempre: si, è bello, ma è un'utopia perché mai e mai più si potrà realizzare demolendo mezza città. Hai ragione su un piano pratico, contingente, però ciò non toglie che il pensiero che questo si possa fare, che si debba fare se uno ha un orizzonte abbastanza grande per andare al di là della contingenza, è già una realtà che, un po' alla volta, potrà modificare la realtà esterna. Quella di oggi ti dà ragione, ma c'è una realtà più grande nella totalità dell'esperienza umana su eoni di tempo, rispetto ai quali la nostra vita e le nostre esperienze sono ben piccola cosa. Quindi l'utopia - chiamala piuttosto come progetto non immediatamente realizzabile - può essere una vera e feconda realtà per il fatto stesso di formularla. Ci sono invece delle astrazioni che non saranno mai realizzate e che, anche quando lo fossero, rimarrebbero morte, anzi neppure nate. Ben altra cosa è l'idea di un equilibrio profondo che, dal cuore di ogni persona, si allarghi, e oggi si sta allargando sotto i nostri occhi - non per nulla siamo qui in quindici a parlarne - coinvolgendo una quantità sempre maggiore di persone, proprio come tanti "fiorellini gialli". Essi finiranno col determinare la la tendenza
di una nuova civiltà.

Gerardo P.
dimentichiamo la parola utopia, è come se non l'avessi pronunciata. Benedette le nuove idee, le iniziative, i progetti come il tuo, ma purtroppo la dura realtà ci dice che millenni di storia dell'umanità e chissà quanti altri in futuro difficilmente riusciranno a fare dell'umanità...

Vittorio M.
Fra centomila anni ci ritroveremo qui e vedremo se saranno stati fatti dei progressi. Guarda che c'è già una bella differenza fra come noi parliamo qui e come si poteva parlarne trent'anni fa. Delle idee che una volta erano isolate, o riservate a pochi iniziati, oggi sono largamente condivise.

Tendenze e negazioni

Federico F.
E' la biologia delle tendenze. Una legge crea un contesto che porta poi a modificare la legge stessa. Il fatto che tu parli di un'idea non lascia intatto il quadro ma lo modifica.

Vittorio M.
Esattamente, le idee sono forze. Non è che noi osserviamo una realtà dall'esterno, e siamo liberi di pensarne quello che vogliamo senza alcuna conseguenza. Il nostro pensiero entra in relazione con la realtà e quindi la modifica.

Ettore L.
Posso consigliare la lettura di un tomo degli anni sessanta sulla tecnologia sociale o società tecnologica?. Direi che farebbe un po' piazza pulita di tante cose che sono state dette stasera. Cosa serve ragionare su tematiche così complesse su cui sono stati spesi fiumi di energie, quando Aberman già vent'anni fa ha detto che sono sbagliate? Quello di cui parla Vittorio alludendo al gran casino della nostra politica è ciò che Newman ha definito autoreferenzialità sistemica. Il problema della formazione delle leggi è stato già discusso vent'anni fa e siamo al punto in cui siamo. Certo, questi autori non parlavano di spiritualità o di fede, però quanto meno hanno cercato per anni di capire quale può essere l'agire partecipativo; sembrava una buona cosa, ma purtroppo Aberman, l'ha smentito dicendo, mi sembra: "ragazzi non funziona, mi spiace".

Vittorio M.
A parte questi studiosi che non conosco, è da migliaia di anni che gli uomini si affannano su questo problema, che si è andato certo aggravando.

Gerardo P.
Non siamo qui per cambiare i massimi sistemi ma per scambiarci dei punti di vista

Silvia G.
Altrimenti, a questo punto, sarebbe inutile di star qui a parlarne, limitiamoci a fare la nostra vita; si nasce si vive e si muore senza porci troppi problemi...

Ettore L.
Vi ricordo che ci sono stati 55 milioni morti nell'ultima guerra mondiale e che le idee dello spiritualismo hanno portato al nazismo

Vittorio M.
Qui sei andato fuori.... In questi incontri, noi cerchiamo di dire quello che, in filo diretto col nostro cuore e la nostra mente, ci sembra giusto, anche a costo di ripetere o ignorare ciò che altri possono aver detto, poiché importante è sentire, vivere un'idea come il proprio sangue, e non solo citarla. Non possiamo d'altra parte discutere delle ipotesi come quella che lo spiritualismo avrebbe prodotto il nazismo, che mi sembra una specie di cortocircuito intellettuale.
Data comunque l'ora, vogliamo comunque concludere così la serata?
.
Sulle credenze

Alberto D.
Posso fare invece un ultimo intervento? A questo punto, parlerei di un piano trascendente

Vittorio M.
Ma si, ascoltiamo Alberto e poi andiamo a cena

Alberto D.
Mi rifaccio al tema a cui Federico aveva prima accennato: le credenze. Da un punto di vista trascendente sulla legge, io la intendo in questo modo: libertà intesa come possibilità di esprimere il proprio pensiero ma soprattutto di pensare liberamente. Dall'altra parte, in contrapposizione, c'è una legge, non umana ma divina, quella dei dogmi che ci vengono imposti. Con essi si creano delle credenze che, in qualche modo, offuscano, condizionano quello che è il libero pensare. Faccio un'ultima considerazione che lega le due cose: libertà e libero arbitrio - mi sembra che tu ci avevi accennato - che è un tema che meriterebbe un ulteriore esame. Penso a Sant' Erasmo da Rotterdam che scrive il "De libero arbitrio" mentre, dall'altra parte abbiamo in contrapposizione Lutero che scrive "De servo arbitrio" Quindi il punto è: noi esercitiamo il nostro libero arbitrio o no? Io penso che il libero arbitrio non esista.

Vittorio M.
Voi che avete fame e siete già in piedi per andarvene, aspettate ancora un momento per favore. Tu, Alberto, stai chiudendo un dibattito aprendone invece un altro, che spalanca una vera voragine. Ti dico però la verità: parlare di dogmi è del tutto al di fuori del nostro modo di pensare e anche il " libero arbitrio" che menzioni non fa parte del nostro vocabolario, anche se il problema che pone è molto profondo. .
I teologi cristiani ne hanno dibattuto per secoli ma, piuttosto che citarli, vorrei cercare di vedere la cosa in sé. La libertà, come dicevo prima, è qualcosa che va conquistata, non è solo un affermare che noi siamo liberi, seppure entro i limiti di un universale disegno di Dio. Noi siamo liberi su tanti e progressivi piani, nella misura delle nostre possibilità, avvicinandoci sempre di più all'infinito livello che chiamiamo Dio, in cui solo ci sarà vera e assoluta libertà.
Se vuoi parlare di trascendenza, essa è certo un livello ben più alto di quello dell'esperienza umana, ma non la definirei come qualcosa di così separato rispetto all'immanenza, o contrapposto ad essa, e tanto meno le darei una connotazione confessionale. Come potremmo avvicinarci al livello della vera libertà, chiudendoci entro le barriere create da una ragione astratta, invece di cercare la libertà in noi stessi, come la nostra propria essenza? Che poi questa sia anche l'essenza del divino, è proprio il senso che guida queste riflessioni. Confrontato con idee dogmatiche, non è certo sulla stessa lunghezza d'onda

A questo punto non vorrei arrogarmi il diritto di dire l'ultima parola ma è proprio così, e la parola è: "andiamo a cena".