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C.1.1.9

il Lavoro Spirituale
Un'architettura per l'uomo

Incontro n° 4 del 15 aprile 2009
Conversazione di Vittorio Mazzucconi
Dal classico ad oggi: il senso dell'architettura


Indice IL LAVORO SPIRITUALE

 

Nel dibattito sono intervenuti anche Angela Sacchi, Bernardo Rossi, Carlo Pieroni, Dario Angeli, Edoardo Primo, Francesca Molinari, Guglielmo Santi, Gaia Verdoni.

Vittorio Mazzucconi

Fra una settimana si inaugurerà il Salone del Mobile, sarà una festa in tutta la città, non solo per mostrare o vedere oggetti e mobili ma, direi, per festeggiare la creatività, ossia la bellezza, la gioia di creare, che però non ci sono ... o, se ci sono, si sono appunto rifugiate nei mobili, negli oggetti, invece di esprimersi in  stupende città come quelle di un tempo, nelle loro cattedrali, in monumenti iinsigni e anche nelle architetture e opere d'arte minori, ma pur sempre ricche di una loro dignità e bellezza.
C'è quindi da chiedersi dove siano andate le qualità che permettevano tutto questo e che oggi producono invece sedie, imbottiti o effimere installazioni ... chiederci qual'è il senso dell'architettura, un senso perduto o almeno molto trasformato.
Certo non è l'occasione adatta per parlarvi del classico, come è nato nell'antica Grecia, ma era ed è questo il mio pensiero, poiché io non mi occupo del salone del mobile ma, se si vuole, di quello dell'immobile, cioè del perenne, dell'eterno, ma esiste qualcosa che sia tale? Certamente no, nulla è vero per sempre, ma c' è tuttavia qualcosa che è più vicino al vero di tante cose effimere. Lo è in un fortunato momento nascente in cui, per qualche misteriosa ragione, l'animo umano è più vicino alla fonte del vero, del divino, di cui nessun fornitore o disegnatore di mobili ci parla. Nell'antica Grecia, si verificò questa occasione fortunata. Pensate, nacque la saggezza come Minerva dalla testa di Giove, nacque la bellezza  come Afrodite dalla spuma del mare, e l'ingegno alato di un Mercurio, e ogni altra categoria, idea o cosa. D'un solo balzo si manifestò una ragione perfetta, pensate a Euclide, a Platone, o un'arte perfetta, pensate a Fidia, e infine un'architettura con dei canoni che è stato possibile in seguito solo tentare di riprodurre, peraltro  in un'infinita serie di travisamenti, ma non certo superare.
Io sono portato a leggere, nella natura umana, il rapporto fra cuore e intelletto, e ad estenderne la percezione a molte altre coppie di valori, per esempio la natura e la civiltà, la terra e il cielo, la materia e lo spirito, il maschile e il femminile ecc. Nell'alba della storia occidentale, che chiamiamo Grecia, è come se questi valori fossero in perfetto equilibrio, proprio perché la loro armonia era divinamente data come condizione prima, nascente (almeno così si direbbe), prima che tutti i successivi sviluppi o squilibri intervenissero a mutarla. Platone guardava le cose del mondo ma gli sembravano solo ombre della divina realtà delle idee, Fidia scolpiva imitando il corpo degli uomini ma, attraverso di essi, vedeva degli Dei. E gli architetti?
Essi avevano appena imparato a costruire le case e i templi con il legno degli alberi perché, prima del classico, il mondo era alquanto primitivo ma, come per incanto e seguendo un'ispirazione  che nessun pezzo di legno, preso in sé, potrebbe suggerire, nacque la colonna, il legno fatto marmo, il tronco fatto...pensate alla perfezione, alla bellezza di una colonna e, quando si guarda alla sua sommità, al miracolo del capitello. Con il capitello la colonna fiorisce e questo non solo come può farlo una pianta, un albero, ma come la fa l'anima umana, o così almeno io ne leggo lo sviluppo, attraverso la vita, o anche di tante vite, fino alla fioritura spirituale. Il senso di tutto ciò è così vero, e così straordinario che gli antichi artefici ci siano arrivati quasi a un tratto, partendo da un opera da carpentiere, per avvicinarsi al divino come nessuno è poi riuscito a fare, che c'è di che rimanere stupefatti. Per misurarne il valore, pensate all'equivalente moderno della colonna: un pilastro di cemento armato o un profilato di ferro, e ditemi voi ...
Cos'è che ha permesso questa meraviglia? Secondo me, l'equilibrio fra cuore e intelletto, ossia fra una natura allora integra e una ragione allora nascente, ambedue appena uscite dal grembo del divino, come Venere e Minerva. L'uomo di allora si sentiva vicino a questa fonte e attingeva al suo getto fresco e sorgivo, che animava tutto il suo essere e le sue opere.

Un'unione, un'armonia, una vicinanza, anzi un'identità, che non si sono più riprodotte nella storia, se non in  qualche raro essere umano, in  qualche rara opera. Quando ciò è avvenuto, si è potuto verificare che quando si produce l'armonia fra cuore e intelletto, essa genera una vibrazione che è in consonanza con il divino, ossia con la sfera più alta, con quell'essenza che, in sé, è appunto armonia.  L'uomo che consegue in sé l'armonia, si trova in consonanza, anzi in identità con l'armonia divina.
Non per nulla, l'espressione perfetta dell'arte classica era nel tempio. Se è vero che il divino si esprime in ogni cosa, in ogni forma, in ogni idea, lo fa a maggior ragione in quelle che gli sono dedicate e trovano in questa dedica la loro più alta realizzazione. Il frontone dei tempio, decorato con storie di eroi e di Dei, non era sostenuto da dei pezzi di pietra più o meno squadrati, ma poggiava  sui meravigliosi capitelli, che essi fossero a immagine di un vaso, o fioriti, o modellati a imitazione della spirale, archetipo della creazione..:  occorre infatti questo livello di perfezione perché l'architettura sia degna di  porsi al servizio del divino.

Se guardiamo adesso agli sviluppi successivi dell'arte classica, cosa vediamo? Roma ha fatto sue le forme greche, ne ha riprodotto e diffuso le colonne in tutto il mondo di allora, ma sarebbe inutile ricercare nella sua arte la perfezione spirituale originaria. Con le colonne si sono fatti i palazzi del potere e anche i templi per gli imperatori divinizzati. Si è quindi guardato al fasto, alla potenza, o anche alla ragione pratica, utilizzando ai suoi fini un dono prezioso ma apprezzato solo per la sua bellezza esteriore e per il prestigio che ne derivava. E dopo? Dopo i secoli oscuri che hanno seguito la caduta dell'Impero, ecco il ritorno, il ritrovamento di questa bellezza. Con il Rinascimento, essa sembra recuperare una parte della sua purezza originaria, poiché appunto il Rinascimento riviveva l'antica nascita spirituale o perlomeno si ispirava ad essa. Come pure si vede, nel '500 e nel '600, un successivo sviluppo delle forme simile a quello che avevano nell'antica Roma:  le forme della pienezza, della maturità, e anche del potere, del fasto.
Il loro sfoggio sfrenato ha portato infine alla reazione purista del Neoclassicismo. Con esso è tornata la perfezione dei canoni classici, l'architettura e la scultura li applicano con precisione e, ahimè, con la massima freddezza. Non c'era infatti più nulla in esse della miracolosa e sorgiva unione del sentimento e della ragione, ma solo un' atteggiarsi, una moda, qualcosa di solo pensato, solo voluto, non sentito, qualcosa di effimero e vacuo.
Dal Rinascimento all'ottocento, lo stile classico ha comunque invaso l'Europa. Le antiche colonne, risuscitate da un Brunelleschi, esplose poi nel cinquecento romano, portate dal Palladio a nobilitare anche le ville di campagna, hanno adornato poi i palazzi del potere, politico e economico, di tutta Europa, senza parlare della diffusione mondiale dell'architettura coloniale, e sono infine approdate alle vacue scenografie totalitarie del novecento. Dio mio, come è andato smarrito nel frattempo il loro originario significato, quello di una spiritualità che aveva formato la materia a sua immagine.

Non è però solo l'architettura classica in cui la spiritualità si esprime. Pensate all'architettura gotica. Anch'essa apparteneva a un momento di nascita, la nascita di una nuova civiltà, dopo quella greco-romana. I popoli germanici uscivano da una natura integra e si affacciavano per la prima volta alla ragione, in modo simile a quanto avevano fatto gli antichi greci. Solo che, in luogo di una consonanza con le divinità solari dell'area mediterranea, essi erano in rapporto con l'atmosfera misteriosa delle foreste nordiche. Inoltre era passato il tempo degli Dei e l'anima umana cercava un nutrimento spirituale in un Dio più vicino alla sofferenza umana. L'architettura gotica nacque quindi a immagine delle foreste e, oltre a questo, espresse il raccoglimento mistico della nuova religione. Una volta la folla dei fedeli partecipava ai riti nello spazio antistante il tempio, mentre adesso  è raccolta all'interno della cattedrale, e soprattutto raccolta all'interno di se stessa, così preludendo all'atteggiamento interiore e personale che ha poi caratterizzato il protestantesimo.
Sia nell'architettura classica che in quella gotica, è interessante notare la comune origine nell'utilizzo del legno. Abbiamo visto che, nella prima, è il tronco che ha generato la colonna, con proporzioni vicine a quelle dell'albero originario, mentre, nella seconda, le dimensioni molto maggiori dei pilastri delle cattedrali hanno richiesto di affastellare insieme molti tronchi. Ne è anche nata una logica costruttiva e insieme una sua interpretazione che hanno fatto proseguire i tronchi nei rami e nelle nervature delle volte. La carpenteria dell'età classica era stata fedelmente riprodotta nel concetto e anche nelle forme decorative dei templi che, dimenticando poi del tutto la loro origine, sono diventate dei canoni, delle pure idee, come quelle in cui Platone vedeva gli archetipi della realtà apparente. La carpenteria gotica ha generato anch'essa uno stile ma che è a mio  avviso più legato  all'effettiva maestria dell'artigiano e a un suo sviluppo in forme e tecniche sempre più abili e complesse.  Se lo spirito classico si è cristallizzato in forme atte ad esprimere appunto il formalismo del potere, quello gotico si è mantenuto più vivo, con un suo senso puramente tecnico, che è poi sopravvissuto, non tanto nei revival romantici di fine ottocento, quanto nello spirito tecnologico dell'architettura contemporanea. Anche il nostro verticalismo, penso ai grattacieli, mi sembra figlio del verticalismo gotico.  
Un comune denominatore delle due grandi strade che abbiamo sommariamente descritto è evidente in due aspetti: da un lato l'origine pratica in tecniche costruttive legate al legno, e  dall'altro l'ispirazione religiosa. Un terzo aspetto che le accomuna è purtroppo il completo abbandono di questa ispirazione, ed è questo abbandono che contraddistingue il nostro tempo.
Che oggi noi non costruiamo più templi o cattedrali, ma edifici pubblici e privati delle più svariate destinazioni, è un dato di fatto, facilmente spiegabile con lo sviluppo sociale e culturale del nostro tempo. Che, quando scarseggia la possibilità di realizzare tali opere, come avviene in Italia, prenda uno straordinario sviluppo la creazione di mobili e oggetti, è ugualmente spiegabile, ma c'è qualcosa di più profondo che ci fa pensare. Noi non costruiamo templi non solo perché non siamo più religiosi, oltre che occupati nella costruzione di mille altre opere più utili, ma perché è venuta a mancare in noi quella originaria unione fra cuore e intelletto, come fra natura e civiltà che, generando un'armonia, si poneva in spontanea sintonia con il divino che, in sé, è appunto armonia. Quando parlo di divino, non mi riferisco ad alcun approccio confessionale ma solo a quanto appare a un semplice sguardo sull'universo, dalla costituzione della materia, alla bellezza presente in tutto, alle galassie diffuse nel cosmo. Quello che è vero nel grande, diceva un vecchio adagio, lo è anche nel piccolo. E' quindi anche nella nostra vita interiore che l'armonia, l'unità sono presenti o, se non  lo sono più, come risultato di una scissione, di un'esplosione, noi siamo lacerati fra una ragione che persegue un suo delirio di potenza e un sentimento che, non più bilanciato dalla ragione, si trasforma in forze oscure e distruttive.  E' quindi a causa di questa scissione che noi non possiamo più percepire il divino e ci abbandoniamo alla sola dimensione dello sviluppo materialistico, con conseguenze che io temo sempre più gravi, fino alla catastrofe. Non dico questo in senso pessimistico, ma solo perché penso che nella catastrofe, nella fine di un ciclo, c'è la possibilità, anzi la certezza di un  successivo momento nascente. E' da esso che sorgerà una nuova classicità, insieme a una nuova consapevolezza del divino, come del significato, del cammino, dell'idealità dell'uomo.
Non vorrei evocare con questo uno scenario da fine del mondo, anche se ci possono aspettare eventi estremamente drammatici, ma piuttosto riconoscere un movimento ciclico della storia, che guida le civiltà dal loro sorgere alla loro fine, proprio come accade nella vita umana. E' proprio del bambino di vivere in una dimensione fantastica, di sviluppare quasi all'improvviso il linguaggio, di avere una  ragione nascente e ancora legata al sentimento, di vivere tutto ciò in una dimensione dell'anima, forse in rapporto con una sua vita prenatale, che lo porta anche a vedere nei genitori una forza di amore e protezione. L'idea di un Dio, nella coscienza umana, non nasce forse così? Avanzando poi verso l'età adulta, diminuisce l'intensità di tutti questi aspetti e si sviluppa invece una ragione sempre più indipendente dall'anima, una ragione pratica con cui si agisce nel mondo e, rispetto alla quale, i valori spirituali dell'infanzia finiscono con lo scomparire. Quando giunge infine la vecchiaia e si riscontra quanto le ambizioni e le realizzazioni dell'età adulta siano state illusorie, ci si volge di nuovo a un nucleo interiore, si pensa alla morte, ci si interroga sul senso della vita e si tende a collocarlo in quell'aspirazione, che è insieme origine e finalità, e che si chiama Dio.  La morte e, io credo, la successiva vita dell'anima, sono appunto le condizioni che renderanno possibile una nuova nascita.

Non voglio occuparvi più a lungo con questo tipo di riflessioni, che è abbastanza lontano dal salone del mobile, che avevamo evocato all'inizio, ma invitarvi a fare un giro nella mostra di foto di alcuni miei progetti che vedete sulle pareti. Vorrei anzi parlarvi stasera di uno solo di essi: l'edificio dell'Avenue Matignon, che ho fatto a Parigi negli anni 1972-75.



facciata dell'edificio 22, Avenue Matignon, Parigi

La sua facciata ci parla infatti di molte cose: la prima è che essa ha un doppio movimento, dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso, la cui percezione è , a mio avviso, l'ABC di ogni conoscenza. Basta pensare a un albero, con la linfa che sale dal basso, dalla terra, e con la luce che scende dall'alto ad illuminarlo ed a permetterne la preziosa sintesi clorofilliana, senza la quale l'albero non potrebbe esistere. Ma io assumo l'albero soprattutto come modello del movimento del nostro animo, della nostra vita: anche noi abbiamo delle profonde radici nella parte più oscura della nostra coscienza, e ci apriamo invece nella nostra parte più alta alla luce dello spirito.
Nella facciata che stiamo guardando, non vedete forse la stessa cosa? Il basso, la radice, è proprio come questo muro di pietra che faticosamente si costruisce, mentre l'alto è una dimensione da cui scendono delle verticali di luce, espresse con vetrate di alluminio e vetro. Sono anche i lineamenti della modernità, della tecnologia, in rapporto con quelli dell'antica identità di Parigi, evocata come una rovina dal muro di pietra.  Ma la cosa più bella è l'incontro fra i due movimenti. Nel centro della facciata, esso si rivela come il suo cuore, e il cuore è uno spazio vuoto, lo spazio dell'Essere.
Il rapporto fra radice e luce, sentimento e intelletto, passato e modernità, non è pacifico, acquisito in una forma ordinata e stabile, ma è contraddittorio e dinamico. Il luogo del cuore è anche quello di una frattura come quella che noi viviamo nel nostro tempo, fra passato e futuro e soprattutto fra sentimento e ragione.
Questa facciata è quindi la registrazione di questa frattura e dell'anelito alla sua ricomposizione. Ed è nello stesso tempo l'impronta di un'identità, quella di Parigi. Non si potrebbe infatti percepire l'anima, protagonista di questa vicenda,  senza darle il volto di una vera identità, che essa sia una città o una persona, così come può farlo un ritratto.
Perché vi ho parlato di questo? Forse a illustrazione di quanto vi ho detto sul classico e sul gotico? La mia facciata non è né l'uno né l'altro, e neppure ci parla di un naturale equilibrio fra sentimento e ragione, come lo si ha nei momenti nascenti delle civiltà o nella vita infantile. Eppure, è un momento di equilibrio ma, come dicevo prima, contraddittorio e dinamico. In condizioni di separazione e antitesi, esso si realizza come un combattimento, una dura conquista. Non è un approdo di pacificazione, non è la ricomposizione di una frattura, ma è l'espressione della frattura stessa.
Così come non è un felice risultato la situazione di un seme che, nella terra, deve aprirsi, lacerarsi, perché da esso possa nascere una nuova vita.

Dibattito
Segue una conversazione in cui alcuni dicono di conoscere e apprezzare il progetto, altri chiedono  dov'è,  Giorgia pensa che sia il recupero di una vecchia facciata, Vittorio risponde che non è così e che ne ha disegnate lui stesso le pietre, una per una ..., Alberto ha visto il progetto esposto al MOMA di New York...Il dibattito scade se si parla tutti insieme, in modo disordinato. Si decide così di dare la parola a una persona alla volta, che porrà una domanda, a cui Vittorio Mazzucconi risponderà.

Angela S.

Oltre alla facciata dell'Avenue Matignon, che non conoscevo ma ... complimenti! ... vedo, fra le foto, anche quella di un tempio greco, anzi sembra una scenografia, è forse in rapporto con l'aspirazione spirituale di cui ha parlato?

Vedi scheda LA NUOVA AGORA

Vittorio M.

Si, ma è stato un rapporto difficile, non riuscito. Esso era nato dall'incarico di progettare un centro commerciale e di uffici a Atene. Il cliente voleva un'opera di prestigio, di impronta internazionale ma io, arrivato in Grecia, me ne sono innamorato come è accaduto a tanti artisti  nella storia, ed ho cercato di riviverne lo spirito. E' così che un programma immobiliare è divenuto per me la “Nuova Agora”, una rievocazione di quella antica. Uno dei nuovi edifici si ispira allo Stoa di Attalo che sorgeva in essa: ritorna, sia pure in forma contemporanea, il modulo della sua facciata, ritornano i portici in cui passeggiavano gli antichi filosofi, ritorna perfino il tempio, l'antico Teseion che sovrasta ancora oggi le rovine dell'agora.
La sua evocazione è affidata nel progetto a un effetto visuale: doveva però essere una foto rasterizzata dell'antica facciata a generare l'immagine riflessa del tempio originario, e non la grossolana scenografia realizzata dalla committenza e dai suoi tecnici. Doveva suggerire una misteriosa presenza del sacro e dell'identità originaria di Atene, ma ahimè, le condizioni dell'incarico non mi hanno permesso di esprimerla.
Non è però questa la sola ombra che oscura la mia aspirazione a realizzare il tempio. La vela che vedete evoca un movimento spirituale, e lo spazio che essa copre e che fa parte di un centro commerciale sotterraneo è proprio lo spazio interno del tempio, la sua cella. Ma questa è una comunicazione segreta perché le colonne, la porta, la copertura della cella sono disegnate in modo rovesciato, come difatti è rovesciata e profanata l'immagine del divino nella nostra coscienza. Il mio  desiderio di rievocare il tempio dell'età classica, ritrovando l'equilibrio fra sentimento e ragione che lo aveva una volta reso possibile, si è rivelato così un sogno doloroso. Uscendo dal “tempio” svanisce il sogno ma, guardando alla realtà, a quanto è realizzato sul  suo fianco Sud, si capisce meglio il senso, l'ineluttabilità di questo fallimento: il tempio virtuale, la cui vela era anche vicina al significato della sacra barca degli egizi, si rivela come l'immagine dell'arca di un prossimo  diluvio. In essa è contenuto come un frammento anche il relitto del naufragio, ma è soprattutto espressa la spinta ascensionale, l'aspirazione verso l'ideale.

Bernardo R.

Mi sembra che lei senta molto, direi nella sua pelle, una situazione di conflitto fra un'antichità classica molto idealizzata, e la modernità, percepita invece come l'involgarimento di una nuova barbarie. Io vedo invece grandi valori nelle opere del nostro tempo. Come diceva anche lei, sono le opere dell'età adulta, opere sociali, realizzazioni in una scala mai vista prima, senza parlare dell'apertura delle idee che viviamo oggi a fronte della cultura molto più ristretta del passato, e delle potenzialità che si aprono per il futuro...

Vittorio M.

Già ai tempi dell'impero romano, l'età adulta di quella civiltà, si erano viste le grandi opere di una  società evoluta e, per l'epoca, globalizzata, con una religiosità sempre più ignorata da un ambito secolare, oggi si direbbe laico, ma abbiamo visto come tale civiltà sia giunta alla fine, e come le invasioni barbariche e il cristianesimo che hanno provocato tale fine, abbiano così posto le condizioni per la nascita di una nuova civiltà.
Ciò avvenne attraverso un'epoca di dolorosa transizione. Immaginate il dolore di un cittadino di quei tempi, pieno del rimpianto della grande civiltà che si andava spegnendo. Posso riconoscermi in questo stato d'animo ma anche in una posizione più complessa e contraddittoria. Oltre a guardare al passato con profonda nostalgia, partecipo al mio tempo: ne vedo la frattura rispetto all'antico, insieme ai fermenti del futuro; ne ammiro le opere straordinarie, sono le opere di una società adulta, ma i valori su cui esse si fondano mi sembrano falsi e transitori. Chi, di fronte alla potenza di Roma ne avrebbe immaginato il crollo ad opera di una credenza religiosa marginale, portata avanti da tanti  illusi e diseredati? 
Nello stesso modo, mi sembra che un futuro non meno “religioso”, ossia di nuovo attento ai valori interiori, e non meno soggetto alla spinta inarrestabile dei poveri della terra, si faccia avanti e, da questo punto di vista, il presente mi sembra un abbaglio, le sue opere delle torri di Babele, o la scenografia di un dramma ben diverso dalla commedia consumistica per la quale essa è stata montata. Tutto ciò può risentire di una percezione personale e discutibile, ma possiamo tutti convenire che stiamo vivendo in un'epoca critica, in un passaggio di conflitto e di transizione verso una futura civiltà.

Carlo P.

Il discorso sul sentimento e la ragione si può prestare a malintesi e comunque non è molto chiaro. Non stiamo poi parlando di musica e tanto meno di emozioni o della letteratura che si dedica a esplorarle, ma di architettura, anzi di urbanistica. Scusi, ma cosa c'entra il sentimento?

Vittorio.M.

Non intendo ovviamente nulla di sentimentale, ma solo indicare quella dimensione dell'animo umano che è più profonda della ragione e complementare ad essa, come lo è la radice rispetto alla parte più alta dell'albero, ed è una dimensione a cui non  attingono solo la musica e la letteratura, ma certo anche l'architettura. Per l'urbanistica, il discorso è più complesso:



Il “Fiore” (dal progetto della Città Nascente)
e l'angelo dell'Annunciazione di Leonardo

Nel progetto della per un nuovo Centro di Firenze (vedi scheda LA CITTA NASCENTE), il “sentimento” è per esempio da comprendere come il profondo passato della città. Il progetto attinge ad esso, recuperando la radice della città romana e salendo come una linfa attraverso la storia e l'arte di Firenze, per poi giungere a una fioritura nel nostro tempo. Si chiama infatti “Fiore” l'edificio centrale del progetto, che si sviluppa con una serie di petali intorno al centro sacrale della città, dove si incrociavano il cardo e il decumano del tracciato originario. In una precedente conferenza, vi ho già mostrato come, guardando al vicino Cupolone, questo sembra un grosso bocciolo chiuso, tanto quanto è invece aperto il Fiore: ambedue sono proprio la stessa cosa. E' il rapporto con il sentimento, con l'anima di Firenze, che permette così di raggiungerne il cuore e di identificarsi con esso: è per questo che la forma che ne deriva è la forma dell'identità.

L'identità, ove se ne prenda compiutamente coscienza, ci riconduce all'idea di fondazione, a cui abbiamo dedicato il primo ciclo di conferenze di questo Seminario. Fondazione è la centratura nel luogo interiore che è appunto il nostro centro, e questo è il divino in noi. I monumenti dedicati a Dio, le opere ispirate di ogni tempo, il misterioso disegno della storia, la natura, il vero, la bellezza, tutto ciò si ritrova in questo centro, e ad esso si può attingere se si realizza una condizione di armonia interiore, ossia di consonanza con il tutto.
Il progetto della Piramide del Palatino (vedi scheda LA PIRAMIDE DEL PALATINO) propone la realizzazione di questo edificio nel luogo più antico e sacro di Roma, il Palatino, dove essa fu fondata. Il progetto nasce anzi dal centro sacrale della mitica fondazione, proprio come nel progetto di Firenze, e ci parla, in altra forma, della stessa aspirazione a una apertura spirituale. Che essa sia a immagine di un fiore o a quella di una piramide rovesciata, il suo significato è questo.  L'apertura spirituale si coniuga e anzi si esprime con l'impegno nella vita, con il cammino della storia, ed è per questo che la Piramide del Palatino, come l'Arca delle Nevi e, in modo più occulto, il Fiore, sono come vascelli la cui prua è pronta a solcare il mare del futuro. Una prua che si volge costantemente verso l'oriente, verso il sole nascente, perché  il futuro di cui parlo non è quello che ci si immagina, di illimitata espansione economica, di battaglie politiche, di scoperte scientifiche e quant'altro, ma quello di un orientamento spirituale, in cui tutto ciò possa  trovare un senso compiuto, al servizio dell'uomo, al servizio dell'ideale divino che è iscritto nel suo cuore.
E' questo il senso del “Lavoro Spirituale” a cui è dedicato questo Seminario.

Dario A.

Capisco la sua poetica anche se, francamente, è un po' troppo filosofica o addirittura mistica per i miei gusti, ma non me la sentirei di liquidare come giochi le proposte di design, che mi sembrano anzi una straordinaria esplosione di creatività. Lei ha forse un'idea monumentale e religiosa della creatività, ma non viviamo più nel mondo dei Faraoni, degli Imperatori o dei Pontefici, un mondo in cui gli abitanti erano molto pochi ed era quindi possibile emergere per artefici di talento e realizzare appunto grandi opere per questi grandi personaggi della storia. Oggi, invece, con un enorme numero di abitanti del pianeta, con una cultura sempre più diffusa e con la vita democratica estesa a quasi tutti i paesi, mi sembra che la creatività vada vista in tutt'altro modo. Vengono fuori migliaia di talenti con migliaia se non milioni di proposte, ma ci sono anche milioni, anzi miliardi di utenti. Avranno bisogno di un mobile, di una lampada, di un  oggetto intelligente, non di una basilica, avranno un bilocale, non un palazzo. Ma il mondo è questo. Francamente, se invece di pensare a tante Arche, lei si occupasse di cose più utili e modeste ...

Vittorio M.

La questione è importante, ma non vorrei raccoglierla su un piano personale. Ci sono tante forme di lavoro e anche tante forme di utilità. Quanto alla modestia, mi sembra che il lavoro che stiamo facendo, ai margini di un mondo preso da tutt'altri interessi, sia fatto in silenzio, come la testimonianza di una ricerca interiore. Penso che lo spirito degli eremi in cui molti uomini si ritiravano in tempi di calamità non fosse molto diverso. La loro utilità era anche in una apparente inutilità. Essi pensavano, sentivano e pregavano anche per tutti gli altri, indaffarati in ben altre faccende.
La diffusione della creatività e il crescente numero di chi vi si dedica e di chi ne usufruisce sono un fatto indubbio. E' anche positivo? Molte cose in natura esistono in quantità strabilianti, che siano i semi, gli spermatozoi, i pesci, gli insetti, e adesso anche gli uomini. Ma esistono anche delle forze che ridimensionano queste quantità, anche se nel nostro tempo esse sono venute a mancare, con i progressi della medicina, proprio fra noi uomini, col risultato di un  super-popolamento tale da creare crescenti problemi su ogni piano, compreso questo, che sembrerebbe il minore, di un eccesso di creatività.
Non ne vedo il rimedio, se non, come abbiamo visto per il numero di abitanti di una città, nel definirlo in rapporto al principio dell'educazione. Anche la creatività, oggi così diffusa perché frivola, facile, effimera, dovrebbe essere educata e attentamente selezionata, come si fa per esempio con le piante, altrimenti avremmo solo un groviglio inestricabile di erbacce, in cui le piante nobili, utili e belle sarebbero soffocate. Penso che sia proprio questo quanto accade in tante forme di creatività, diciamo incontinente.

Edoardo P.

Architetto, ho letto in una presentazione di Riccardo Barletta che egli definisce la sua creatività come sapienziale. Le sta bene questa definizione?

Vittorio M.

Ricordo che Barletta parlava di me in  rapporto ad altri tipi di creatività, casuale, programmata, intemperante, che si vedono in giro ma, se scorge una sapienza nella mia opera, devo dire che essa  non è affatto mia. Sempre più mi rendo conto che la creazione appartene allo Spirito e che essa si realizza attraverso di noi. Noi ne siamo i mezzi, tanto più idonei quanto meno opponiamo ostacoli e resistenze, che si chiamano squilibrio fra sentimento e ragione, ideologie, interessi, ambizioni personali. Tutto ciò ostacola il lavoro spirituale.

Francesca M.

Cosa ne pensa del fenomeno delle archistars? 

Vittorio M.

In  un mondo in cui la creatività, come ogni altra cosa, si è moltiplicata e polverizzata, è naturale che si creino degli addensamenti, come dei vortici di polvere, dei grumi, e che tutti li indichino come dei grandi valori: sono i valori della società di massa, valori puramente numerici, di accumulo.. In una società più ristretta invece possono emergere talenti veri, perché maturati e cresciuti in un vero contesto sociale e culturale.
Il pensiero da seguire è sempre lo stesso, che ho già esposto a proposito della città: qualunque sia il numero degli uomini, fa parte della nostra natura di vivere in piccoli gruppi, o anche in piccole città, ai fini di uno sviluppo armonico dell'essere umano, indispensabile anche perché possano formarsi ed emergere dei veri valori. A Firenze, nel Rinascimento, c'erano si e no 20.000 abitanti, fra cui molti geni di statura universale, che hanno avuto così modo di esprimersi e farsi conoscere, ma cosa farebbero oggi, diluiti nell'esplosione demografica delle nostre metropoli?

Guglielmo S.

Tornando ai suoi progetti, mi domando come potrebbe mai essere accettato quello della Piramide del Palatino. Non capisco poi come lei, che parla con tanto amore dell'architettura classica, possa proporre un tale scempio delle rovine monumentali di Roma.

Vittorio M.

I grandi architetti del passato non hanno fatto scempi minori: la Roma dei Papi è stata costruita smantellando le antiche rovine, cominciando dal Bramante che demolì mezzo Colosseo per fare il Palazzo della Cancelleria. I marmi dei palazzi imperiali fra le cui rovine vorrei erigere la Piramide sono finiti tutti a San Pietro e in altre chiese...mentre il mio progetto non tocca una sola pietra ma propone anzi la ricostruzione di alcune parti degli antichi palazzi: il patio degli appartamenti dell'imperatore e il suo Stadio privato. Certo, il mio amore per queste testimonianze è pari almeno a quello per un futuro verso il quale slanciarsi con coraggio. E' per questo che posso concepire una struttura tecnologica di enormi dimensioni, che si affianchi senza tema al Colosseo. Sarà uno scempio? O un gesto di grande creatività, come forse saprà compierlo una società nuova o almeno un  po' meno vecchia di quella italiana e in particolare romana?

Gaia V.

Forse che la società milanese sarà più ricettiva? Alludo al suo progetto per l'Arca del Duomo ...

Vittorio M.

Il problema è lo stesso: da un lato l'urgenza di un vero rinnovamento che sappia prendere forza e linfa proprio dall'amore del passato, e dall'altro l'incultura conservatrice e ipocrita che grida allo scandalo. Magari ci fosse un vero scandalo, in grado di svegliare e appassionare la gente ma, nella realtà italiana, non succede proprio nulla! Siamo ridotti a parlare qui di cose belle e necessarie mentre, fuori di qui, nessuno ci ascolta e la città vive nell'euforia della creatività fasulla dei disegnatori di mobili, qualche settimana fa dei sarti, per non parlare di alcuni grandi uomini d'affari, chiamati architetti ...


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