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C.1.2.9


Indice ARTE E PSICHE
Presentazione dei Quadri

1978.05 (01.15) La mamma

Nell'ultimo incontro (n.13) vi ho fatto vedere dei quadri ispirati a una geometria astratta ma, prima di parlare adesso dello sconquasso che l'eros può portare in un'anima, ci sono alcuni quadri che evocano un altro tipo di amore, quello per la mamma, e la sua morte che avvenne in questo periodo. Prima di tutto la sua immagine in un alone di luce, mentre il suo corpo stanco è seduto sull'estremo bordo di un muretto come se esso fosse l'estensione di una vita ormai giunta al termine. E poi messaggi arcani, come di demoni, o di una caduta, o di un anelito spirituale simile a un uccello in volo, non però un uccello ordinario ma una creatura astrale, che vola in un cielo di mistero.

1978.07 Epifania

In un'altra immagine magica, che chiamo Epifania, il pensiero della mamma mi fa ritornare bambino. Appare la testolina di un bimbo, ma se ne leggete il profilo alla rovescia, vedrete anche la faccia di un vecchio sulla parte destra del quadro davanti al volto del bambino, come in un famoso effetto grafico che fa vedere la relatività della visione...avete presente il disegno di quel vaso nero su fondo bianco che uno vede ma, cliccando gli occhi, vede invece due volti bianchi su fondo nero che si fronteggiano? Qui, in modo spontaneo, si produce lo stesso fenomeno: si vede un bambino ma, se lo guardi in un altro modo, è invece un vecchio, il volto della notte, dell'inconscio da cui emerge la vita. E' come se la sfinge del quadro ponesse una domanda, la cui risposta è un mistero ancor più profondo. Di dove viene la nascita? Viene a dire il vero dalla morte.

1978.08 Enea e Anchise

Nello stesso momento di pathos mi è apparso anche il padre. L'ho fatto inconsciamente rievocando Enea che porta il vecchio Anchise in braccio, quando abbandona Troia in fiamme. E' quindi un momento in cui il padre, la madre, la magia della nascita si presentano come messaggi arcani, proprio come se venissero dall'oltretomba. Vi ricorderete che, quando gli eroi dell'antichità andavano negli Inferi, vi ritrovavano le anime dei propri genitori? Non ricordo se fosse Enea che vede negli Inferi la vecchia madre, cerca di abbracciarla ma la madre svanisce fra le sue braccia poiché non ha un corpo, è solo un'ombra. Quindi la discesa agli inferi comporta l'incontro con le proprie origini profonde, che sono in un mistero cosmico ma anche nel nostro sangue e su questa terra. E' in essa che si rivela il pathos della condizione umana, cioè ben altro che una vaga ricognizione nell'ombra di qualche problema personale rimosso, ma qualcosa di immenso e profondo come un mare interiore.

1978.13 La virtù e il vizio

A un certo momento, nasce però l'eros. Come nasce? Nel
rapporto con una persona che entra nella mia vita, che
associo dapprima a una trasgressione, al vizio. Un'anima
timorata è portata a concepire l'eros come peccato, vizio,
come una strada di perdizione. Dopo, percorrendo questa
strada, mi sono reso conto che si incontra in essa anche la
vera forza dell'anima, dipende se la si sa riconoscere al di là
delle apparenze.

1978.16 Il fabbro armonioso

Per questo, bisogna però che l'eros si trasformi in amore. Ahimè, anche questo, se si è buoni filosofi, non è che apparenza, ma è un'apparenza incantevole. In uno dei primi quadri si vede un fabbro o, a dire il vero, un poeta che, mentre è intento a fabbricare le sue armonie (nella forma di una spirale che scaturisce dalle sue mani) viene distratto da una fanciulla che passa. Poi essa si manifesta, la pittura permette di sognare una persona appena incontrata, un volto, che è però un volto che sembra così misterioso, che viene dal profondo. Permette di sognarne un bacio, di intuirne i sentimenti, di cominciare ad essere irretiti in un sortilegio. Ecco, tutto questo ci parla del momento dell'incanto dell'amore, in cui si sogna la felicità, come una grazia.

1978.23 La Sfinge

Le pulsioni più sotterranee vengono invece dopo. Ecco che si presenta di nuovo la Sfinge. Come nel quadro dell'Epifania essa porta con sé una potenza sconosciuta. C'è un aspetto astrale, come di una maschera, c'è un potere alato e, nello stesso tempo, una presenza animale, ferina.

1978.26 Il Minotauro

Appare anche il Minotauro, che questa creatura, nello stesso tempo astrale e ferina, incontra nell'eros, perché questo vuol dire appunto immergersi nell'ombra, ritrovando in essa non solo, come dicevo prima, la propria origine, ma anche la nostra natura animale, la natura terrestre e, ancor più nel profondo, qualcosa che solo il mito può evocare. L'eros ci trascina veramente nel profondo, ci promette di liberarci forse domani dalla caverna, però, in prima fase, ci butta letteralmente in essa, dove, al di là della morale o delle idee idealizzanti sull'amore, dobbiamo confrontarci con le radici dell'essere.

1978.36 Gemelli

Successivamente, viene il momento in cui si realizza l'unione. Un momento di felicità, di pienezza? Questo quadro non ci dice proprio questo, ma piuttosto quello che accade nel nostro animo quando, anche nel momento dell'amore, c'è una parte di noi che prova un senso di vergogna, un senso di doppiezza. Chiamo questo quadro "Gemelli" proprio perché mostra questa doppiezza, che si associa alla mia infedeltà: da una parte la partecipazione a un rapporto, dall'altra invece la vergogna di questo rapporto, come ci dice il naso che arrossisce...

1978.37 L'Angelo e la bestia

Qui è talmente forte il senso di colpa che, di fronte a un angelo, cioè di fronte a un principio spirituale, un principio di purezza, è la nostra natura animale che si manifesta. Se io dovessi identificarmi fra i due personaggi del quadro, mi identificherei in questa specie di mostro, o nei molti animali che sono avviluppati con lui, così come lo farei con il Minotauro del quadro visto prima. Ci sono due forze in gioco: una forza fisica, materiale, animale, e una forza spirituale. Nel dire che io in quel momento ero l'animale, mentre l'angelo mi parlava, sto forse un po' semplificando. In realtà, come nel quadro del logo della Fondazione di cui abbiamo parlato tanto l'altra volta, queste due forze sono in ognuno di noi: in ognuno di noi c'è una parte angelica e c'è una parte molto ma molto animale.

1978.43 L'Arpia

Parlare di una discesa agli Inferi conseguente alla fine di un amore non è del tutto esatto poiché, in questo amore, c'era già da prima un contenuto "infernale". Il tormento e i sensi di colpa prodotti di solito dall'abbandono, erano già molto presenti nel periodo del rapporto amoroso, perché esso era vissuto in doloroso contrasto con la mia vita coniugale. C'era d'altra parte nella fanciulla amata, nella mia percezione o nel mio animo stesso un fondo tenebroso che questo quadro evoca, rappresentando la fanciulla con le penne di un uccello, come un'arpia. Il pallore del suo viso, come di una maschera spettrale, è in contrasto con la sensualità del suo corpo.

1978.47 Il Vello d'oro

Come abbiamo accennato l'altra volta, la vicenda dell'anima ci fa vivere periodicamente, ciclicamente, il rapporto fra amore e non-amore, come fra giorno e notte, nascita e morte, finché non prendiamo coscienza del vero protagonista della nostra esperienza. Non so quanto voi siate famigliari con le filosofie orientali ma un'idea che è ormai molto conosciuta anche in occidente è quella che individua un essere superiore in noi, che viene chiamato il Sé, ma che potrebbe essere anche il Cristo o un'altra rappresentazione religiosa, e che è il vero protagonista dell'esperienza umana.

Pat Sophie G.
è già l'Arca...

Vittorio M
...per il momento non è Non è proprio un'arca, anche se alludi alla forma del vascello, che è presente in moltissime mie opere, ma è un essere che naviga....è il Sé, il mio vero essere spirituale. Come potete vedere, è conciato male, non ha la testa, non ha le gambe, usa come remo qualcosa che originariamente poteva essere anche una parte di una cetra, infatti l'ho chiamato Apollo per molto tempo, un Apollo in naufragio, in una situazione di incredibile periglio, la sua cetra si è spezzata e ne usa un pezzo come remo. Ma per me è proprio un'immagine del nostro Sé: questo essere divino che è in noi. Un giorno lo scopriremo come Dio stesso, scoprendo come noi stessi siamo Dio, costruendolo un po' alla volta ma, agli inizi, siamo un essere quanto mai oscuro, informe. Noi ci facciamo un'idea culturale, catechistica di Dio, ma un'immagine istintiva della nostra divinità interiore può essere simile a questa: un essere amputato che non ha testa perché non abbiamo coscienza di Dio, non ha un corpo integro perché non ne percepiamo la totalità ma solo la frammentazione, un essere che naviga in un cosmo sconosciuto, perché non ne conosciamo la realtà spirituale. Il suo remo, il suo intento è lo strumento a pezzi di un'armonia che noi non sappiamo percepire. Cosa devo dire d'altro?
Silverio G.
Scusa se ti interrompo. Perché dici che siamo Dio?

Vittorio M.
E' una domanda a cui è molto difficile rispondere, comporta tutta una cosmogonia. Poniamo però questo: che Dio è l'universo, è l'essenza dell'universo, essenza che in buona parte è inconscia. Tutte le creature sono Dio, lo sono i pianeti, le stelle, le piante, ma l'uomo ha come compito di sviluppare la propria coscienza e di farlo anche per le creature che non sono coscienti. Questa coscienza lo porta a una progressiva consapevolezza, e quando questa giunge al suo stadio finale, come a una completa fioritura, giunge appunto ad essere Dio. Dio si rende cioè conscio nell'uomo. Allora, il nostro essere spirituale, il Cristo nella religione cristiana, il Sé , l'Atman nella religione induista, è appunto questa realizzazione nell'uomo del divino, non come essere soprannaturale da adorare in una forma o nell'altra ma come riconoscimento della nostra vera e profonda natura.

Silverio G.
Gli Ebrei, la parola Dio non possono neppure pronunciarla, e seguono questo principio da cinquemila anni...

Vittorio M.
...si, ma io non sono ebreo e posso quindi pronunciarla. Mentre la pronuncio, lo faccio beninteso fra virgolette. Sant'Agostino diceva una cosa bellissima: qualunque definizione vorrete dare di Dio, è sbagliata poiché Dio è inconoscibile. Però il processo per arrivare a questa conoscenza esiste, è in corso. Non ci arriveremo mai, perché Dio è infinito, ma tutto il senso dell'evoluzione, dal caos iniziale ai sistemi stellari, alla nascita della vita, all'evoluzione terrestre, all'uomo, è nella direzione di acquistare sempre maggiore consapevolezza, e di questo non puoi che convenire. Tornando a questo quadro, quello che io riconosco in esso, come in una fotografia, è che questa consapevolezza è alquanto lontana, perché manca la testa, mancano gli arti, balza agli occhi una situazione di incompletezza. Però, come dicevo che, senza prendere coscienza dell'ombra, non si può sperare nella luce, così la stessa verità è espressa in questo quadro: siamo amputati, deformi e bisogna quindi riconoscere questa realtà per andare avanti e progredire.

1978.48 Orfeo e Euridice

Quando parlo di un mito come questo, non dovete immaginare che, nel fare un quadro, io mi dica: "adesso, voglio rappresentare Orfeo e Euridice" No, io non penso proprio niente quando faccio un quadro. Il senso di questa mia esposizione e spiegazione di quadri è di mostrarvi una registrazione, veritiera perché inconscia, dei movimenti dell'animo umano. Dopo, uno, due, trent'anni, dico: questi sono proprio Orfeo e Euridice. Si vedono letteralmente: Orfeo, che stava precedendo Euridice, portandola via dall'inferno, si volta e Euridice - ecco qui il suo volto - comincia proprio a scomparire. Una sua parte lo seguiva, l'altra si ritira. Questa immagine è nata dalla consapevolezza che la nostra anima è divisa e non solo in questo mito.

1978.49 L'omaggio

Bisogna dire che la persona su cui avevo proiettato tutto questo dramma, aveva qualcosa a che vedere con il diavolo - intendiamoci, poverina, era una bravissima ragazza - ma, in qualche modo faceva da rivelatrice del diavolo che era in me. Per quanto il nostro incontro fosse del tutto casuale, esso era in realtà intessuto con un profondo bisogno della mia anima, come se mi fosse predestinato. Dovevo incontrare la mia ombra e, per compiere una tale esperienza, non potevo trovare un aiuto migliore di questa creatura. Guardate in questo quadro come un diavolo si inchina a lei, riconoscendola in qualche modo come sua regina. E' qui, appunto, che i miti si mescolano. Questo quadro avrei potuto chiamarlo Proserpina, che era appunto la regina degli Inferi. Perché, vi ripeto, la realtà psichica è la stessa, ogni parola che diciamo cerca di separarla in definizioni mentali, mentre un'intuizione inconscia, come quella che si esprime nel quadro, non opera questa divisione. Per essa, Euridice, Proserpina e Psiche sono una stessa cosa.

1978.52 L'Aurora

Questo è uno degli innumerevoli quadri in cui io ho sentito il bisogno di parlare dell'alba, dell'aurora. I più belli, nella mia vita pittorica, sono molto felici, vanno incontro all'aurora, ma qui invece mi nascondo, vedete come questo corpo, fatto di terra, non vuole uscire, vuole rientrare nel grembo della notte, vuole rientrare nel grembo materno. L'oscurità lo assedia anche dall'esterno, con la notte che sta svanendo, mentre l'alba che si presenta ha un viso che è molto oscuro. Ora, che cosa vuol dire, istintivamente, il pittore quando ha fatto questo quadro? Vuol esprimere il suo bisogno di una vera aurora, di una nascita spirituale, ma nello stesso tempo in qualche modo la rifiuta perché vuole ancora rifugiarsi nel grembo dell'oscurità, nel grembo materno. La sua anima è oscura come si vede nel volto della figura, neppure una tenue falce di luna la rischiara. Ma non bisogna illudersi di essere nella luce. C'è un solo modo, come dicevamo prima, di avvicinarsi alla luce, ed è di riconoscere che siamo nell'oscurità. Proprio come un albero che, protendendo i suoi rami nella luce, può farlo solo nella misura in cui le sue radici affondano nella terra.

1979 Il viaggio all'Ade

Qui l'anima sta addirittura entrando nell'Inferno. Questo potrebbe essere un demone che l'accompagna, fra delle foglie che, piegandosi al suo passaggio, ne suggeriscono il movimento. Leggete la figura, il suo volto, il demone che la guida, quasi cavalcando un drago infernale. Il tutto è una proiezione del dolore per la perdita della persona amata.

1979.20 Oracolo 2

Se uno guarda nella propria anima, può illudersi di trovare molte cose, sentimenti, desideri ma egli sta in realtà guardando nel più profondo dei misteri. Come è vero e dicevo prima che un giorno scopriremo che siamo Dio, così bisogna anche riconoscere che noi siamo anche il demonio, i figli di una forza primigenia, noi siamo tutto, bisogna prendere coscienza di questo.

1979.03 Oracolo 1

Guardate questo essere che però è anche il Sé che vi ho fatto vedere prima mutilato. Qui lo si vede invece come un lampo fra le tenebre, come una forza che emerge dal fuoco e che crea il mondo con la potenza di un gesto creatore.

1979.12 Il Giudizio

Questo è il Giudizio. L'idea che noi ci facciamo del giudizio universale è dettata dai nostri sensi di colpa. Io mi sentivo talmente in colpa che appunto figuravo in tutte queste immagini un auto-giudizio, una auto-punizione. Vedete l'angelo giudicante e l'anima piangente fra le grinfie del demonio. L'angelo compie però lo stesso gesto di Osiride nel quadro After: un gesto che m sembra di compassione, di perdono.

Silverio G.
Le spiegazioni di questi dipinti sono a posteriori, mentre tu dipingi non pensi a questi temi?

Vittorio M.
No, assolutamente no, l'ho detto prima, ma capisco che sia un un fenomeno veramente difficile da capire. Vi farò vedere dopo un quadro, una tremenda Crocifissione, che ho fatto una mattina, dopo essere uscito dal mio studio. Era una mattina di sole, di luce e avevo visto due ragazze, ma così belle, così bionde, così esuberanti che mi hanno fatto pensare a Renoir, all'impressionismo francese. Tornando in studio, mi sono detto: "senz'altro farò un quadro ispirato a Renoir, esprimerò questa gioia di vivere", e invece è venuto fuori un quadro drammatico come questo (1979.15 Deposizione) E' per dire che sono processi del tutto separati. Il mio inconscio può utilizzare le immagini delle ragazze o di qualunque altra cosa ma in un suo processo del tutto occulto. Siccome il cammino verso la consapevolezza, verso "Dio", è proprio quello di portare a un livello di coscienza tutto quello che invece è sotterraneo, inconscio, io, finché è inconscio, non lo posso certo conoscere. Ti sto parlando della profondità del mare, non delle barchette che navigano in superficie in una bella giornata. Quindi, nessun intento propositivo, intellettuale, del tipo " io faccio questo, faccio quest'altro", esiste in questi quadri. Ne puoi riconoscere il fondo, semmai, nel mondo dei sentimenti. Io avevo lasciato la mia ragazza e allora vivevo il senso di colpa proiettandolo in questa immagine di dolore. Tutto ciò è simile a quanto accade nei sogni, in cui quello che uno ha sul cuore può esprimersi, magari nella forma di un incubo. Tanto nei quadri quanto nei sogni, il vissuto viene elaborato in un'immagine che può essere di difficile interpretazione, perché è un messaggio simbolico in cui sono riuniti molti aspetti di una verità che la ragione sa invece solo dividere con delle letture parziali.

1979.13 After

Qui si può immaginare Osiride, il re dei morti, che fa un gesto per accogliere o per giudicare quest'anima. Una parte interessante del quadro è che il volto dell'anima è scuro, scuro, come quello della corazza-ombra nel quadro del logo della Fondazione (1977.13 Il Lavoro Spirituale), è la morte stessa. Non è neppure un volto, così come la figura non è neanche un corpo. E' un vuoto, in cui però il dio interviene con un gesto di amore e di guarigione. Il sole fa la stessa cosa con i suoi raggi, che vanno verso l'oscurità e la trasformano in luce..

1979.21 Caronte

Qui si vede Caronte. Non so quanto i miei quadri siano leggibili, ma questo rappresenta un'anima che sta per salire sulla barca di Caronte. Ne vedo il volto di profilo con "gli occhi di bragia", come diceva Dante. Una cosa strana è che la vela, gonfiata dal vento, ne mostra una direzione opposta al movimento della barca e dell'anima che vi entra. La sua vita svanisce come i fiori di loto che scoloriscono e cadono nella barca, ma forse essa non parte veramente per l'ultimo viaggio, poiché il vento è contrario e Caronte guarda altrove...Dopo tutto il vento soffia non secondo le nostre intenzioni ma dove Dio vuole.

1978.16 La morte del Signore

In questa figura che, con la testa reclinata, guarda il proprio cuore oscuro, c'è tutto il dolore della crocifissione. Vorrei però paragonarla a un altro quadro (1997.02.23 L'Aurora Interiore) che abbiamo visto nell'ultimo incontro. Esso mostra lo stesso atteggiamento di guardare al proprio cuore, ma questa volta non c'è più l'oscurità nel cuore, c'è invece un'aurora. Trovo consolante questo mutamento. Prima un uomo vede l'oscurità in sé, e allora piange in qualche modo su se stesso, sul proprio dolore. Dopo nasce qualcosa in lui, magari occorrono vent'anni, ma finalmente dentro di sé vede un'aurora, che è appunto interiore. Non la cerca all'esterno, la cerca e la trova nel proprio cuore.
Pensando alle Crocifissioni che mi è accaduto di dipingere in diversi periodi della mia vita, osservo che sono immagini apparse spontaneamente in momenti di grande dolore. Questo mi fa riflettere ...un cristiano può pensare che Gesù ti è vicino nel tuo dolore ma si può anche pensare che tutta la storia del Crocifisso, il valore che noi gli diamo, è una proiezione della nostra ombra, del nostro dolore esistenziale. Non dimentichiamo che Gesù, nei primi secoli, non è stato mai adorato, raffigurato come un uomo crocifisso, si raffigurava l'agnello, o il pesce. Era un messaggio di luce, non di dolore. Lo si raffigurava anche mentre teneva in braccio la Madonna bambina, un pensiero meraviglioso, ma mai come crocifisso. Mi pare che sia nel quarto, quinto secolo che si è cominciato a usare questa immagine. Quindi, essa è stata una proiezione dell'uomo in periodi bui della storia, dell'inconscio umano, in cui abbiamo creato questo simbolo di dolore.
Esso può anche apparire su un piano personale come quello che mi ha ispirato. E' dopo aver lasciato la mia donna che ho provato un un tale dolore da far nascere in me questa immagine. Un credente, un sacerdote potrebbe trovare profanante il mio accostamento, però ve lo dico perché corrisponde a una reale esperienza, che ho fatto più volte.. Un'altra cosa che mi permetto di farvi vedere in questo quadro, molto bella come significato, è che la testa di Gesù è rappresentata come il sole, un sole che tramonta. Ora, da un punto di vista esoterico, che io penso veritiero, non Gesù come persona ma il Cristo è identificato proprio con il Sole. Il tramonto del sole è come la morte del Cristo, la morte rituale a cui, come rinasce il sole, così seguirà una resurrezione. E' un principio spirituale, un mistero a cui ci avviciniamo con devozione.

1979.17 Il cielo e la terra

Un'altra espressione di questa vicenda è quando, dopo il dolore della dipartita, come di una morte interiore, essa viene proiettata in un'aura eroica, Non è cioè più presente il riferimento personale alla perdita della mia donna, o alla sua perdita del suo uomo. Il principio maschile e il principio femminile, oppure il Sé e l'anima, o le forze complementari dell'universo come l'azzurro e il rosso, o infine il corpo e l'anima, sono ambedue presenti e unite in un ricongiungimento. Vedo un essere spirituale che prende cura della parte materiale, un essere maschile che prende cura della parte femminile. E' tutto legato insieme su diversi piani. Un'altra cosa singolare è che all'interno del volto di questo giovane dalle chiome alate, si intravede il volto di un vecchio saggio, perché si tratta dell'immagine di una realtà atemporale, e non di un'esperienza legata a un'età particolare.

1979.18 Disperazione

Questa espressione della disperazione e del guardare dentro di sé. E' come se si levasse la luna, è quanto accade nel momento della morte. Si muore e nasce la falce della luna, che è il mondo di Osiride. Il quadro ricorda molto il progetto dell'Arca delle Nevi dello stesso anno e di una stessa magia.

1979.28 La Sultana

1979.37 Kelly


Arriviamo alla fine della storia con questi due quadri, che corrispondono a due letture della stessa vicenda. Uno è la trasformazione della persona amata in una figura magica, misteriosa, come si vede dai veli e dalla maschera che ne nasconde l'identità. L'altro invece è il calarsi in un sentimento di tristezza e di abbandono, che però è pur sempre una proiezione. Fra le due immagini, chi può dire qual'è quella vera? Sono ambedue espressioni della mia anima più che di una persona reale. Se poi guardo a un altro quadro di tanti anni dopo (1984.Smili), vedo che non solo una persona può essere guardata da tanti punti di vista ma può essere anche celata da tanti veli, da successive maschere, come se avesse tante personalità. Ma quale ne sarà il nucleo, la verità? Questa è la complessità non solo della donna che chiamiamo Euridice, Proserpina o Psiche, ma dell'anima umana.