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C.1.2.28


Indice ARTE E PSICHE

 
Dibattito - Incontro n° 21

Roberto P.
Quando tu dici che Dio è in noi, è un concetto che in parte condivido e in parte .mi sfugge, mi sfugge sempre, nel senso che questo Dio che è dentro di me, lo vedo in determinate manifestazioni, lo sento in certi momenti, è dentro di me ma a volte però non lo sento, non riesco a cogliere il senso in cui tu lo dici. Oltretutto, nei tuoi quadri, vedo che nei primi è un Dio oscuro, buio, opprimente, mentre adesso siamo arrivati a un Dio solare. Io, dentro di me, credo di vivere Dio in una maniera diversa

Vittorio M.
Scusa, ma che ognuno lo veda in modo diverso è lapalissiano, siamo sette miliardi di persone e ci sono quindi almeno sette miliardi di modi diversi di vederlo. La verità è una sola ma i punti di vista cambiano. Però, quello che dicevi prima, che senti in te questo blocco....

Roberto P.
...nella vita quotidiana mi succede che non sento Dio dentro di me, che lo vivo senza coscienza

Vittorio M.
Molte di queste immagini mostrano appunto il Sé inconscio, mostrano la sua oscurità, mostrano il nostro voltarci dall'altra parte rispetto a un messaggio divino: direi che sono cose vicine alla situazione di cui hai parlato e in cui più o meno ci troviamo tutti. E' proprio assiomatico che noi, per il fatto stesso di essere nati in questo mondo, di trovarci qui, siamo in una condizione di oscurità, come una caduta rispetto a una centralità divina da cui siamo precipitati. Se uno vuol rendersi conto di questa oscurità, di questa caduta, e vuole così vedere in faccia la la propria ombra, che è l'abc di ogni vero cammino interiore, non può che identificarsi con un essere amputato e oscuro.
Per ciò che mi riguarda, in questo seminario ho molto osato, ponendomi nudo, con verità, per quello che sono. Se poi alla fine c'è nei miei quadri un'immagine luminosa, sia pure conquistata attraverso l'estremo del dolore, beh, direi che questo è un fatto positivo. Non che io pretenda però di avere acquisito chissà quale livello, ma diciamo che posso testimoniare del cammino percorso: sono nell'oscurità, però so che c'è una luce, come un pesce che, pur essendo nell'acqua, si rendesse conto che al di fuori dell'acqua c'è un altro mondo...o come dire che uno muore, però sa che la vita è eterna. Ma lo sa come? Lo sa per intuizione, per analogia, per fede, ma la fede non può essere una cosa imparata a memoria, come quando si recita con le parole del Credo che Dio è il creatore del cielo e della terra...no, la fede è un convincimento interiore a cui si giunge con dolore e poi, al termine di un travaglio, con serenità..Io, che in qualche modo ho questa fede, ce l'ho anzi fermamente, mi spendo a comunicarvela aiutandomi con i quadri, anche se non sono opere molto felici. Parlando della mia pittura ho spesso evocato un bambino Down, che è una parte di me. Dopo essermi dedicato per decenni all'architettura, che porta a un livello molto sofisticato di pensiero, mi sono accorto in un certo momento della mia vita di avere una parte oscura, la mia ombra, come se fosse un mio fratellino Down, e da allora me lo sono sempre portato dietro tenendolo per mano, ed ho così scoperto che era solo attraverso di lui che io potevo crescere. E' solamente attraverso l'oscurità che si arriva alla luce

Roberto P.
Ovviamente, devo partire dalla mia esperienza soggettiva. Nonostante le avversità della vita che ho attraversato, la mia visione di Dio non è mai stata buia, non è mai stata oscura. Se avessi dovuto dipingere io, non avrei mai usato colori scuri, la mia visione di Dio è sempre stata solare. Ti chiedo come mai in alcuni tuoi quadri c'è questa illuminazione, mentre in altri, siccome Dio è dentro di te soltanto in parte, lo dipingi mutilato. Una visione dall'esterno mi dà invece un altro tipo di lettura

Vittorio M.
Non vorrei parlare troppo del mio approccio personale ma, diciamo, il concetto è abbastanza chiaro. Io non mi faccio un'idea astratta di Dio, dicendo che Dio è il massimo della luce. No, il Dio che è dentro di me è nel massimo dell'ombra. In qualunque analisi, se non conosci l'ombra non conosci niente. Dante, nella Divina Commedia, ne ha speso un terzo nell'oscurità dell'inferno e un altro terzo nella faticosa esperienza del Purgatorio. Questa è la realtà, non bisogna farsi un'idea intellettuale e illusoria di quello che ci trascende. Partendo da questo riconoscimento, vediamo di migliorare l'immagine che ci facciamo di Dio, e lo potremo fare solo migliorando noi stessi. La mia versione è autentica anche se potrà sembrare opprimente, non dipingo Dio come potrei immaginarlo facendomi qualche illusione, ma come sento la sua presenza in me, dolorosamente avvolta nella mia oscurità, ma non perché io sia un uomo che per sua natura tenda al buio, al nero, che sia iscritto a sette sataniche o roba del genere, ma semplicemente perché assumo in pieno questa natura, non solo mia ma della condizione umana. L'abbiamo detto all'inizio del Seminario: per uscire dalla caverna oscura, bisogna dapprima rendersi conto di esserci.
E' la mia lettura personale, ma c'è qualcuno che ha da dire qualcos'altro?

Paolo M.
Mi sembra che ci sia una tensione abbastanza evidente, come un oscillare fra due concezioni diverse, in quello che dici dei tuoi quadri, sul rapporto con la divinità. Una, che si sente in questi ultimi quadri, è molto orientale, buddista, per cui uno riconosce Dio in sé stesso e anche in tutte le cose, e poi c'è la figura del Cristo della tradizione in cui siamo cresciuti, che però è una cosa diversa, perché Dio, nella religione cristiana, è altro da me, è il Padre, siamo a sua immagine e somiglianza però è Dio, poi c'è lo Spirito Santo e poi ci sei tu, sono ben diverse queste cose. Mi sembra appunto che nei tuoi quadri e in quello che racconti, si alternino questi concetti e che ci sia una tensione, non voglio dire non risolta. Ci parli poi di Gesù, dell'oscurità, della croce, mentre nell'ultima parte prevale questa visione buddista, che non so quanto sii accordi con la croce, il dolore... mi sembra che ci sia un sincretismo..

Vittorio M.
Ma scusa, Paolo, non devi paragonare alcune nozioni sulle religioni orientali con altre sull'insegnamento della Chiesa, che sono ovviamente diverse, ma renderti conto piuttosto che sta nascendo nell'animo dell'uomo del nostro tempo un nuovo impulso religioso, che si scopre figlio di quanto hanno scoperto gli orientali da una parte e il cristianesimo dall'altra. Io sono molto vicino all'idea orientale del Sé, dell'Atman, però la vedo e la abbraccio interamente anche nel Cristo. Osservo che, mentre gli orientali pensano di raggiungere Dio con delle pratiche rituali, con la meditazione, con la concentrazione ecc., nel cristianesimo la si raggiunge con il dolore e con la croce, che è un'esperienza molto più pregnante dal punto di vista umano, un'esperienza decisiva. Io considererei l'illuminazione orientale come l'essere, appunto, illuminati da un nobile pensiero, un nobile intento, come è stato predicato dal Buddha, mentre l'esperienza cristiana non è tanto l'essere illuminati, ma convertiti, anzi folgorati come Paolo sulla via di Damasco. E' qualcosa che accade in carne ed ossa, un farsi crocifiggere, scoprendo che il Cristo oscuro che è in noi, che è morto nella tenebra, è anche il principio della Resurrezione. Io lo associo anche a un principio di luce, al sole, e anche all'oscurità da cui la luce emerge, vedendo quindi in tutto questo una ciclicità che mi sembra il vero senso della vita. Non mi piace l'accezione del sincretismo come di un voler mettere insieme delle cose inconciliabili mentre penso a una religione per l'uomo di oggi che sappia nutrirsi dei contributi delle religioni del passato, non guardando alla loro lettera, frutto di culture locali e diverse, ma alla radice del senso religioso, che è comune ad ogni religione e ad ogni uomo.

Livio Z. Mi sono fatto spesso una domanda: Einstein credeva in Dio?

Vittorio M.
Certamente, l'ha proprio dichiarato, ma per forza: sarebbe solo un piccolo scienziato quello che si limitasse al piano dell'osservazione e della verifica sperimentale - anche se è quello che fa fare dei grandi progressi alla conoscenza empirica e anche teorica - ma un grande scienziato, che ha delle grandi intuizioni, una grande anima, non può che essere profondissimamente religioso. Certo non crederà alla Madonna o a un Gesù figlio unigenito di Dio, a un Santo o a un altro, ma non potrà che essere profondamente religioso.

Livio insiste:
ma l'ha veramente dichiarato? Roberto gli risponde che lo ha fatto in molte occasioni...

Vittorio M.
Un grande scienziato che vede la meraviglia e la complessità dell'universo non può che essere religioso. Si dichiarerà magari ateo all'inizio ma solo su un piano contingente, nel senso che non crederà alle favole della Chiesa - anche io non ci credo - a parte il fatto che sono favole di cui, quando arrivi ad avere una religiosità profonda, finisci con lo scoprire la verità, non letterale come ti hanno insegnato, ma come simbolo, come è d'altra parte vero per tutte le favole. Il cristianesimo è un messaggio che si rivolge a tanti livelli, da quello della nonnina che ha una fede semplice che però le è di conforto, a quella del Santo, del mistico o del grande scienziato. Ci sono diversi piani di conoscenza. Uno che si applica solo a un piano pratico, come fa spesso chi crede nella scienza, non può essere autorizzato a concludere che non esista un piano trascendentale ma solo che non ha gli strumenti (e il cuore) per conoscerlo..

Roberto P.
Vittorio, ti posso fare una domanda provocatoria? Tu dipingi o parli....quello che prevale è la croce, non c'è mai la Natività. Io ho questa impressione, che quando tu pensi al cristianesimo, prevale la visione del dolore...

Vittorio M.
...ma non è vero! Mi do però una spiegazione pratica di quello che dici: tu non sei venuto sempre ai nostri incontri e forse sei stato sfortunato...Ho dipinto molte volte la Natività anche se sarebbe difficile farti vedere adesso tanti quadri, ma quello che mi ha sempre preso non riguarda il rappresentare o meno la Natività - ci sono tanti pittori che la dipingono ma non per questo sono particolarmente credenti - è' il principio della nascita che è centrale in tutto il mio lavoro. L'ho rappresentato anche dipingendo infinite volte l'"Aurora", non è forse una nascita?; il titolo del prossimo incontro è la "Nascita spirituale"; ho fatto il progetto di Firenze che si chiama "La Città Nascente", non c'è nulla che mi commuova quanto la nascita....quello che vi presento è un discorso che va dalla nascita alla morte e non certo sulla sola morte. E' una meditazione sullo svolgimento della vita umana, che, anche dopo la morte, vedo continuare nella nuova nascita della reincarnazione...

Livio Z.
Mi sono spesso domandato se Dio non sia un'invenzione necessaria dell'uomo

Vittorio M.
L'altro giorno ho sentito una conferenza su Darwin che, da quando ha scoperto la teoria dell'evoluzione, è diventato sinonimo della negazione di Dio. Darwin diceva invece di non avere nulla contro l'idea di un Dio, ma solo di "non averne bisogno". Scoprendo, aggiungeva, che le leggi del mondo sono quelle dell'evoluzione, non c'è nessun bisogno di immaginare un Dio creatore.
Lo trovo un punto di vista perlomeno limitato. Se è vero che tutto funziona secondo le leggi dell'evoluzione, ci si può chiedere di dove vengono queste leggi. A dire il vero, esse non fanno che aprirti uno spiraglio su una incredibile, meravigliosa armonia dell'universo, un'armonia che comprende infinite cose, fra cui l'evoluzione delle specie. Non dico che tutto ciò sia creato da qualcuno o che esista un grande disegno, ma siamo certamente lungi dal capire qualcosa di certo su una realtà che ci trascende. Come però, in ognuno di noi, accanto agli aspetti materiali del funzionamento del nostro corpo, sentiamo la presenza di un'anima, di un centro interiore, così possiamo intuire che in tutto l'universo materiale ci sia un Spirito di cui l'universo stesso sarà la manifestazione.
Questo è un pensiero religioso che qualunque grande scienziato non può che condividere. La presunzione di poter negare Dio per il solo fatto di arrivare a scoprire alcuni piccoli aspetti del mondo fisico, sarebbe un po' come negare l'arte, l'ispirazione di un grande artista perché si è scoperto la formula chimica dei colori dei suoi quadri.

Gerardo P.
anche l'Arca del Duomo è una forma di nascita

Vittorio M
Si, esattamente. In tutti i miei progetti c'è questo senso di aspirazione, di nascita, espressi in modi diversi. Tu citi l'Arca del Duomo, con la sua forma di piramide aperta e rovesciata, mentre la piramide tradizionale è una forma chiusa ( era una forma di potere e quindi associata alla morte, non per nulla le piramidi erano tombe) La piramide rovesciata si associa invece a un'idea di apertura, come un fiore o qualcosa che si apre, che nasce, mentre ciò che si chiude è qualcosa che muore.
Ma tutto questo c'è nella vita, il sole nasce la mattina e muore la sera e va bene così, e va ancora meglio che la mattina dopo rinasca ancora, questa è la formidabile analogia che è alla base di ogni speranza di reincarnazione. Comunque, io vi ho presentato una piccola antologica di pittura e ho finito col diventare una specie di predicatore, perché vi parlo dell'arte dal punto di vista dei contenuti, cosa che è molto trascurata nell'arte contemporanea. Sono i contenuti della vicenda umana. Come avete potuto ascoltare, vedere e condividere nel corso dei nostri incontri, è stata una meditazione non svolta in astratto ma condotta sul filo, fin dall'inizio, dell'eros. Nella caverna in cui viviamo, per uscire bisogna trovare un'uscita, ma la luce che può aiutarci in questa ricerca, la torcia che abbiamo in mano, è l'eros. Come dicevamo prima, questo è vero a tutti i livelli, dall'amore per una bella ragazza all'amore per Dio, è la stessa cosa anche se su piani diversi.

Paolo G.
Non so dove ho letto che si può associare Dio all'immaginazione, è una parola chiave: se esiste Dio, è colui che ha osato immaginare ogni cosa.

Vittorio M.
Un Dio che ha immaginato il mondo, è questo che vuoi dire? Possiamo anche concludere che siamo un pensiero di Dio, siamo un'immaginazione di Dio, nulla esiste senza il suo pensiero...ma, senza andare troppo lontano, direi......

Gerardo P.
...forse siamo il suo gioco...

Vittorio M.
...già, la sua play station...però l'idea dell'immaginazione alla base della Creazione è bellissima...ci sarebbe dunque qualcuno che ha immaginato l'evoluzione da cui poi l'uomo ha estratto una teoria, o che si è sbizzarrito in alcuni aspetti della materia su cui hanno poi lavorato i fisici quantistici....Però l'immaginazione mi fa pensare anche agli artisti. Si sa che essi, accanto ad altre qualità, sono spesso narcisisti, come dei commedianti, anzi dei mimi, fanno la mimica di Dio. Dio ha creato il mondo e l'artista fa un quadro. In qualche modo è un creatore anche lui, ripete il gesto creativo, che è il gesto di dare nascita, immaginando, creando delle opere, anche se ai livelli limitati in cui ce lo permette la condizione umana. C'è chi dice che così facendo l'uomo è co-creatore del mondo ma li mi sembra che si perda un poco il senso delle proporzioni, anche se è vero che la nostra vita, nella misura in cui si ispira all'immaginazione, all'amore, al donarsi, è una continua creazione: ce n'è una, gigantesca, in atto nel cosmo e ce n'è un'altra, piccina piccina, che è la nostra.

Giorgio F
Mi fai pensare a questo tuo piccolo bambino Down, come lo chiami tu, con una definizione che per me è però riduttiva. In realtà permette a te e permette agli altri di arrivare a comprendere tutto il cammino, quindi è essenziale

Vittorio M.
...quindi ha una sua funzione, meno male. Non è poi che usi la parola Down in un senso peggiorativo. Ho già detto prima, rispondendo a Roberto, come l'incontro con l'aspetto irrazionale, con l'ombra che ho personificato nel bambino, mi ha portato a riequilibrare il dominio in me della razionalità. La pittura è stata questo, il tirare fuori questo aspetto, ed è stata per me una bella auto-terapia. Come dicevamo prima, la terapia, per uno che va in analisi, è di prendere contatto con la propria ombra. Io non ho fatto analisi ma l'ho fatta attraverso i quadri, e la mia insistenza sull'oscurità mostra proprio un sincero attaccamento a questo bambino Down...(d'altra parte, rispetto a Dio, al Sé, non siamo forse Down tutti noi?)...che spero sia adesso un po' cresciuto. Se poi questa esperienza serve anche agli altri, è solo positivo. Quando un pittore fa una mostra, si va a vederne i quadri, magari non si vedono neanche perché alle vernici c'è un sacco di gente, e poi è talvolta difficile di capire i quadri moderni; allora uno legge qualcosa che ha scritto il critico e che è magari ancora più difficile da capire. Nell'insieme è un'esperienza abbastanza superficiale, non approfondita mentre, grazie alla vostra cortesia e bontà d'animo, in tutti questi incontri vi siete avvicinati a una lettura più attenta e condivisa, che poi non è neanche propriamente artistica e tanto meno critica, ma che ha magari messo qualche seme nel vostro animo. Sembra molto piccolo, ma sta a noi farlo crescere, proprio come il bambino interiore che ho chiamato Down, ognuno come può....

Livio Z.
L'arte è salvifica, in particolare la musica. Mi ricorda quel pianista, che si è salvato suonando il piano...

Vittorio M.
si, quel film meraviglioso, Il Pianista, di Polianski.

Roberto chiede di vedere un quadro di G. a Panarea.

Vittorio M.
Come tutti i quadri, ha un fondo di vita vissuta, anche se io tendo a portare ciò che mi accade su un altro livello. Qui ero a Panarea con la mia donna che , al ritorno a Milano, dopo qualche mese mi ha lasciato. Lei leggeva seduta sul muretto del patio; nel quadro c'era anche il suo volto, poi il quadro l'ho ripreso tempo dopo, l'ho rifatto, il volto è stato cancellato perché, dopo l'abbandono, ero in uno stato di dolore e anche di risentimento. Nello stesso tempo sembra essere scesa l'oscurità su una scena che era in realtà quella di un bel pomeriggio di Agosto mentre, stagliandosi sul fondo scuro, la veste della donna si è tinta di rosa ed è diventata più bella, impreziosendosi con dei ricami d'oro.....

Gerardo P.
Era rimasto solo un bell'involucro...

Vittorio M.
...ecco, rimane un involucro, con una sua forma, una sua carnalità, ma rimane soprattutto il dolore dell'abbandono. Il quadro si legge poi sempre come metafora dell'anima che, pur trovandosi nell'oscurità, tende a una rinascita aurorale, non magari nella forma di un nuovo amore ma in quella della meditazione, della conoscenza. Questo stava forse scritto nel piccolo libro che la donna sta leggendo.

Gerardo P.
non hai trovato altre muse ispiratrici nei tuoi viaggi?

Vittorio M.
Certo ho trovato delle donne, ma l'ispirazione è un'altra cosa. E' in rapporto a quanto tu investi nella relazione con una persona. Guarda Dante che ha portato questa ispirazione su un piano angelico, ha reso Beatrice una manifestazione di Dio, un essere meraviglioso. In generale l'ispirazione rimane però più spesso su un piano erotico o sentimentale, ed è accaduto anche a me di viverla talvolta su questo piano. Ciò però che mi ha più colpito e mi ha portato ad amplificare il dolore di una separazione è stato di risentirla come premonizione o metafora della separazione dell'anima dal corpo. Avendo conosciuto molti amori, avendone vissuto ripetutamente la nascita e la fine, ho conosciuto anche molte morti. Questa è la chiave di tante mie riflessioni. Ora, non c'è dubbio che un amore profondamente vissuto in tutto il suo svolgimento è uno dei più grandi insegnamenti per istruirci a capire le verità della vita, le verità che non si imparano leggendo i libri e studiando filosofia ma vivendone certi nessi fondamentali. C'è chi, in seguito a un dolore, si è suicidato, altri si sono realizzati. L'amore tocca le corde più profonde del nostro animo, però quello che è consumato a livello di divertimento non c'entra niente con quello che invece è introiettato e portato su un altro piano.

Gerardo P.
guarda quello che ha fatto Gauguin con gli amori consumati in tutta la vita, ha fatto dei capolavori stupendi

Vittorio M.
Non voglio fare gerarchie fra diversi amori e tanto meno fra diversi artisti. La materia prima, il fuoco, è quella...poi un artista fa una cosa e un altro un'altra. Per ciò che mi riguarda, quando vivo l'amore non dipingo molto, mentre viene dopo il momento del canto di dolore in cui l'amore viene sublimato

Livio Z.
Tout passe, tout lasse, tout casse

Vittorio M.
però vedi... quando un rapporto si stanca e poi finisce col rompersi, non ha una grande risonanza, mentre, se viene stroncato un rapporto sul più bello, è come un fulmine che ti cade addosso a ciel sereno, e questo crea un travaglio incredibile, mi è accaduto diverse volte, direi che fa bene, uno si abitua a lavorare con i fulmini (come facevano gli antichi aruspici etruschi...) mentre gli amori che non hanno questo trauma vanno a finire nel tout passe ecc. oppure in una vita ordinaria, anch'essa utile ma su un altro piano, una vita operativa, in cui uno si sposa, fa figli, prende così cura della sua famiglia, partecipa di una vita sociale, ma quando questo non è dato e l'amore viene rifiutato e interrotto, allora prende un'altra linea evolutiva, non permette di fare dei figli in carne ed ossa ma conduce ad altre nasacite...

Gerardo P.
Tutta la rappresentazione dei tuoi amori finiti è sempre negativa, ignorando il periodo felice. Anche quella è una realtà che esiste, prima della rottura e della fine terminale. C'è l'esperienza che crea intimità, non c'è soltanto la fine in un rapporto, la realtà è tutto un registro che dura fino alla fine, quello che si riceve da un rapporto amoroso come da qualunque altra cosa, ha una valenza che ha anche dei momenti positivi. Tu sei ispirato essenzialmente da questa sofferenza dovuta alla rottura, però chissà quanto ti ha dato l'amore prima della rottura

Vittorio M.
Enormemente. Non ho mica detto che è valido solo quello che segue la rottura. Lo è a maggior ragione la bellezza dell'amore, la sua fioritura, il sentimento, il cuore, la carne, mentre tu vivi tutto questo. Ci sono molti quadri che hanno tradotto questa vitalità dell'amore in forme, in testimonianze pittoriche positive..ma purtroppo, ti ripeto, è quando uno incontra il dolore, che questo ti scuote dalle fondamenta. Il sorriso non ti scuote, ti fa venir voglia di dare un bacio, di fare l'amore, di sentire la tua compagna vicina mentre, quando non ce l'hai più, senti la morte nel cuore, vivi il dramma della separazione. Uno può cercare di distrarsi, un' altro, come me, è portato a riflettere sul fatto che il dramma della separazione non è solo quello di un amore andato male, ma è la condizione umana: noi viviamo in questa terra proprio perché siamo separati dal divino e, quando moriamo, siamo separati anche dal corpo...

Gerardo P.
C'è una realtà esistenziale in tutte le cose, c'è un principio e una fine, gli amori, le emozioni, le vite...

Vittorio M.
Si, abbiamo parlato a lungo del principio e della fine in tutte le cose....Quando ami una persona e ne sei riamato, hai un bimbo, vivi una situazione felice che ti sembra dover durare per sempre. Se invece poi ti accade di perderla, allora lì tocchi il fondo della questione, perché la disgrazia che ti capita non è solo un caso fortuito o perfino secondario rispetto alla felicità che hai vissuto, ma ti mostra l'ineluttabile corso della vita: Se non fosse stata questa cosa che ti è capitata, questa donna che ti ha lasciato, comunque saresti andato verso la fine dell'esperienza umana, poiché tutto va verso la fine. L'amore, finché dura, ti inebria con l'illusione che non sia così ma, quando finisce, ti mette appunto, per un'interiore coincidenza, di fronte alla fine di tutto. E' lì che nasce allora nell'uomo il bisogno di chiedersi cosa c'è dopo l'amore, cosa c'è dopo la vita, e anche di testimoniarlo, nella misura in cui può intuire qualcosa di questo possibile sviluppo.
L'uomo che ha fatto questo cammino è ormai portato a non proiettare più in una donna la sua anima e anche i desideri del suo corpo, gli impulsi vitali che ci invitano a vivere la vita in superficie, gioiosamente, mentre nello stesso tempo servono una forza più profonda che ci spinge a ricongiungerci in un'unità originaria. Il cammino ci porta a ricercare ormai questa un'unità non più nell'eros, che ci è servito come una torcia per trovare l'uscita dalla caverna. L'uscita è in noi stessi, l'unità è in noi stessi, se troviamo e riconosciamo in noi il Sé interiore.
E' su questo che ho cercato di porre l'attenzione stasera.


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